Più o meno dieci anni fa. Era il 26 maggio del 2012. Sulla Cima Coppi del Giro d’Italia svetta un belga di Sint-Niklaas, la città più importante della regione fiamminga del Waasland, tra le Fiandre orientali e la provincia di Anversa.  Un’ impresa faticosa e clamorosa. Per molti inattesa e imprevista, non per lui. Thomas De Gendt  arriva primo e da solo. Sfiora pure la maglia rosa e costruisce la sua vittoria sul  Mortirolo e poi sui tornanti dello Stelvio. Una fuga infinita. Va quasi sempre così quando davanti c’è questo  36enne che non ama stare in gruppo. Un “lupo solitario” che appena può esce dal branco. Due giorni fa  De Gendt ha trascorso buona parte della quinta tappa dell’UAE Tour in fuga. All’inizio erano in quattro ma, dopo lo sprint intermedio, gli altri si sono rialzati e lui ha tirato dritto. Nulla di nuovo. E’ il suo marchio di fabbrica, il suo ciclismo, il suo modo di inseguire i sogni. Lo hanno ripreso a una ventina di chilometri dal traguardo e la tappa, da Al Marjan Island-Umm al Qaywayn l’ha vinta in volata Dylan Groenewegen che si è messo dietro Fernando Gaviria e Sam Bennett. Dettagli. La storia è un’altra o forse sempre la stessa. De Gendt viaggia per fatti suoi. E ciò che gli interessa: “I watt sviluppati quando sei in gruppo sono decisamente troppo bassi- ha spiegato a fine gara- Sono stato anche al Tour of Oman e posso dire che queste gare sono deludenti in termini di energia. Sto perdendo forma qui, è davvero troppo facile nel gruppo coì ho scelto il mio ritmo e ho provato a pedalare a 300 watt per tutto il percorso. Poi, con il vento contrario negli ultimi 30 chilometri è diventato troppo dispendioso…”. Ma ovviamente  c’è dell’altro. C’è un’idea di ciclismo d’attacco, un po’ ribelle, d’avanguardia, romantico e scapigliato.  Più moderno nella sostanza che nella forma che cambia lo spartito, inventa e improvvisa, che  prevede  assoli,  allunghi estenuanti in salita,  furibonde “menate” pianeggianti.  Due tappe al Giro d’Italia, due tappe al Tour de France, una alla Vuelta quasi sempre raccontate come il ciclismo ama che si raccontino. Messo nero su bianco dal giornalista  Jonas Heyerick, nella biografia “Solo” tradotta e pubblicata qualche tempo fa da “alVento”. Carta canta. Ma non solo in corsa perchè la bici è lavoro ma anche un modo di vivere e di divertirsi: sali in bici quando vuoi per tutto il tempio che vuoi. Sembra un mantra.  E allora quattro anni fa, dopo il Giro di Lombardia, De Gendt si inventa “TheFinal Breakaway” , l’ ultima fuga, un viaggio da Como, dove si è appena conclusa la stagione agonistica, a Semmerzeke a casa sua in Belgio  in compagnia del suo compagno di squadra di allora alla Lotto Soudal Tim Wellens. Mille chilometri in sei giorni, così per puro diletto, per vivere un ciclismo che smette di essere un lavoro e diventa tante altre cose. Un viaggio, luoghi, chiacchiere, soste,  birre, passione e fantasia. La voglia di uscire dal gruppo, dai calcoli e dalle tattiche. Il coraggio di sconvolgere il branco e di andare in fuga che resta comunque la sola incognita capace di sovvertire il pronostico più scontato, che ti fa sempre fare il tifo per chi sta scappando, che ti fa sempre stare dalla parte di chi sai che ha poche o nulle possibilità di farcela. “In tempi come questi la fuga è l’unico mezzo per mantenersi vivi e continuare a sognare” scriveva anni fa il filosofo francese Henri Laborit. ““Quando non si può più lottare contro il vento e il mare per seguire la rotta, il veliero ha due possibilità: l’andatura di cappa che lo fa andare alla deriva o la fuga davanti alla tempesta che, quando si è lontani dalla costa,  è spesso il solo modo di salvare barca ed equipaggio…”