Ascani: “I Giochi? Ultima spiaggia per lo sport in agonia”
Impianti, stadi, piste di pattinaggio, grandi investimenti, cantieri e progetti che proiettano Milano (e Cortina) verso i prossimi Giochi invernali del 2026 che, come scommettono un po’ tutti, saranno una vetrina formidabile agli occhi del mondo ma soprattutto un successo. Ovviamente sarà così ma il presente fa i conti con una realtà un po’diversa e parecchio più complicata.
Non è tutto oro ciò che riluce: «No, infatti non lo è e un dibattito che ruota solo intorno agli impianti, alle strutture e a ciò che si deve costruire materialmente è limitante- spiega il professor Franco Ascani, membro italiano della commissione cultura del Cio- Lo sport non è solo strutture ma è soprattutto coinvolgimento, inclusione, “pratica sportiva“ e non ci si deve illudere che a Milano in questo senso non ci siano problemi, che non ci sia nulla da fare perchè invece da fare c’è moltissimo per le olimpiadi che verranno, per i giovani, per le tante società sportive dilettantistiche che annaspano e che non hanno le certezze dei gruppi militari e per la diffusione di una cultura dello sport che da noi ancora non c’è…».
Se si guardano i dati degli ultimi anni vengono i brividi. La gestione degli impianti sportivi, per la crisi energetica, è lievitata a percentuali che vanno dal 200 al 400% con effetti a cascata sulle famiglie costrette a tagliare nei bilanci la voce «sport» e sulle società dilettantistiche che hanno alzato bandiera bianca. Covid e lockdown hanno fatto il resto dando un colpo «mortale» all’attività di base che perlopiù si fonda su un volontariato «eroico». Secondo una rilevazione fatta dalla Uisp, l’Unione italiana sport per tutti, negli ultimi tempi il calo dei minori che hanno praticato sport in Lombardia è stato del 12,4% e va aggiungersi ai tanti giovanissimi che in questi due anni si sono persi per strada.
«Ereditiamo situazioni disastrose lasciate andare negli anni– spiega Ascani- Lo sport va considerato un diritto, come lo studio, e andrebbe tutelato da parte di tutte le amministrazioni come servizio sociale. Altrimenti si torna tristemente agli Anni ’70 quando molti Comuni lo consideravano una spesa facoltativa e quindi veniva tagliata a priori». Il paradosso è che la domanda di sport cresce, perchè molte persone hanno capito finalmente che se fanno movimento stanno meglio, vivono meglio e vanno meno dal medico, ma l’offerta pubblica, quella che anni fa veniva garantita dagli impianti comunali a «tariffe sociali», è sempre meno adeguata.
«Molti impianti sportivi della città oggi sono gestiti da gruppi privati– spiega Ascani- E questo è un bene perchè garantiscono centri sportivi, palestre, piscine di prim’ordine, belle, funzionali dove fa piacere allenarsi. Ma ovviamente i privati non sono “missionari“, investono per avere il giusto ritorno economico e quindi offrono la pratica sportiva solo a chi se la può permettere». Ne fa le spese lo sport di base, quello dei ragazzi, quello che permette ad una generazione di giovani di crescere e di formarsi con i valori della partecipazione, della competizione ed anche dell’agonismo. La prospettiva olimpica dovrebbe essere anche questa.
«I Giochi sono senz’altro un’occasione fantastica per rilanciare questa concezione di sport per tutti e i valori dell’olimpismo- spiega Ascani- Si deve ragionare anche su questo cominciando dai bambini, dalle scuole. Con i Trofei di Milano noi lo stiamo facendo da sessant’anni. L’olimpiade ha un senso per ciò che rappresenta, per ciò che porta ad una città in termini economici e di immagine ma ha soprattutto un senso per ciò che lascia in eredità. E’ importantissimo che resti una pista di pattinaggio ma è forse più importante che lo spirito dii Giochi riesca a “contagiare“ le nuove generazioni, altrimenti passano e vanno».
Che poi a pensarci bene è un grande investimento sul futuro, perchè lo sport oltre a far bene ai ragazzi li tiene quasi sempre anche lontani dai guai. «Tanti anni fa- ricorda Ascani- uno dei primi sponsor dei nostri Trofei fu la Centrale del latte di Milano. Finanziò l’evento ma soprattutto finanziò una ricerca di mercato che cercava di capire quale fosse il ritorno economico di una sponsorizzazione. Sugli adulti era di uno a uno, sui ragazzi si moltiplicava per tre. E se penso che in tutti questi anni con i </CW>nostri Trofei abbiamo portato in pista 3,5 milioni di studenti…».