E pensare che voleva giocare a rugby…. Geraint Thomas è maglia rosa: forse non come sognava,  forse non come voleva, forse non nel momento giusto perchè ora dovrà gestire la corsa,  ma così vanno la vita e le corse che tolgono e danno e a volte sorprendono. E allora il 37enne gallese di Cardiff anzichè restare defilato in un Giro di “sbarbati”, si deve calare nella parte di chi non molla e prova a tener botta, esempio ed orgoglio anche (soprattutto) per chi è un po’ avanti con l’età .  Strana storia la sua. Corre in bici da quando di anni ne aveva dieci nel Maindy Flyers Cycling Club di Whitchurch, il quartiere dove è cresciuto. E ha sempre pedalato forte visto che in bacheca, oltre ad un Tour de France, un Tour di Romandia,  un Giro di Svizzera e un Giro del Delfinato ha messo anche due ori olimpici a Pechino e Londra nell’inseguimento su pista a squadre e tre titoli mondiali. Non male per uno che sognava di giocare a rugby come tutti i suoi coetanei perchè in quelle contee quello è lo sport: “Il rugby è gallese quanto le miniere di carbone, i cori maschili, How Green Was My Valley, Dylan Thomas e Tom Jones”  ripetono tutti e questo spiega come per i ragazzini sia più facile ritrovarsi tra le mani una palla ovale che non una bici su cui pedalare. Ma tant’è.  Domani nella decima tappa da Scandiano a Viareggio, Thomas attraverserà gli appennini tutto di rosa vestito perchè  Remco Evenepoel, dopo la positività al Covid è tornato in Belgio, e toccherà a lui e alla Ineos guidare il gruppo con Primoz Roglic ad un paio di secondi e con il suo compagno di squadra Tao Geoghegan Hart a 5 che proveranno a mettere in mezzo lo sloveno sperando che succeda ciò che lo scorso anno al Tour è successo a Tadej Pogacar stretto nella morsa di Jonas Vingegaard e Wout Van Aert. Ma prima bisognerà capire chi,  tra i due co-capitani di Sua Maestà, diventerà capitano. In attesa delle montagne c’è qualche giorno di tempo per decidere, intanto Thomas aggiunge un altro tassello di gloria alla sua storia. Che non è una storia qualunque,  sempre raccontata con quello stile britannico un po’ distaccato che rende gli inglesi un po’ speciali, che te li fa amare od odiare, che non li rende mai banali.  Anni fa, ad esempio, quando fu costretto a dare forfait ai mondiali di Richmond la prese con filosofia:  “Pazienza- scrisse sui suoi canali social- mi guarderò i mondiali di rugby e penserò al mio matrimonio, non necessariamente in quest’ordine…”. E così fu: gli All Blacks vinsero il titolo con suo sommo dispiacere e lui convolò a giuste nozze con la bella Sara.  Storia strana quella di questo gallese che la Regina Elisabetta ha nominato Ufficiale dell’Ordine dell’Impero Britannico  per meriti ciclistici.  Prima nuotatore, poi rugbysta sempre nella  squadra della sua scuola a Whitchurch,  poi pistard,  poi gregario di Froome  e poi cristallino vincitore del Tour de France. Al Giro sono tanti i segni del suo passaggio, quasi mai fortunati.  Tre anni fa quando partiva favorito, dopo aver dato un minuto nel cronoprologo a Vincenzo Nibali, cade rovinosamente su una borraccia e se ne torna a casa con il bacino fratturato.  Nel 2017,  sulle strade d’Abruzzo nella tappa del Blockhaus,  finisce per terra in una carambola contro la moto di un poliziotto ferma a bordo strada. Sfiga, forse destino che sembra perseguitarlo.  Come  nel 2005 quando in Australia atterra sull’asfalto dopo un volo provocato da un pezzo di bici che si stacca da quella di un suo compagno di squadra che sta tirando e che gli costa l’asportazione della milza. O come quella volta nel 2015 al Tour quando sbaglia in pieno una curva  in discesa e non finisce in un scarpata solo perchè va a sbattere rovinosamente contro un palo che lo ferma.  Nella sfiga anche un po’ di fortuna. Robe da ciclisti. Ma Thomas si è sempre rimesso in piedi e ha continuato a scrivere la sua strana storia che chissà dove lo porterà quando un giorno deciderà di smetterla col ciclismo. Magari sui campi gara del triathlon, come garantisce il suo amico Cameron Wurz , vincitore anni fa di un Ironman a Cervia che si allena con lui agli ordini del preparatore del team Ineos Tim Kerrison e che di lui dice un gran bene: “Sa nuotare, ovviamente va forte in bici ma corre anche a 3 e 40 al chilometro, quindi…”. Quindi la porta è aperta anche se non è detto che il gallese dalla faccia e i basettoni da beatle deciderà di aprirla e quando aprirla. “Quando mi ritirerò dal mondo del ciclismo professionistico voglio sicuramente affrontare un Ironman- aveva detto anni fa Cyclingnews-  O forse più di uno a cominciare da quello in Galles. Penso proprio che avrò bisogno di qualcosa da fare quando mi fermerò. Ma ci penserò, certo che questi da professionista sono stati anni in cui tutto quello che ho fatto è pensare al ciclismo…”. Forse troppo. Ma per ora la bici resta al centro. Il Giro domani riparte e lui si ritrova in rosa un po’ per caso, molto perchè ha classe da vendere  e moltissimo perchè,  come sempre fa, si è preparato al meglio ed è uno “tosto”. E nato e cresciuto in un “paesone”  di minatori dove ancora oggi si tutti si conoscono e si salutano per strada.  Le radici sono quelle, gente abituata a far fatica e che non si arrende, capace di stringere i denti, di tenere a bada anche la sfortuna. Capace di tutto. Anche di tornare al Giro e magari vincerlo  a 37 anni. Che per uno che voleva giocare a rugby è davvero un meta da fuoriclasse.