Il Giro a Roglic: nel ciclismo non c’è pareggio
Non c’è il pareggio, per questo il ciclismo è crudele, lo sport più ingiusto che c’è. L’unica regola è mettere un millimetro di tubolare davanti agli altri, una ruota, anche meno. E il bello è che così si vince anche un Giro, per 14 secondi. Primoz Roglic sfila la maglia rosa a Geraint Thomas e la porta a Roma. Fine. Ed è quasi un peccato perchè anche il gallese aveva un credito da riscuotere. Da una parte della montagna c’è il Monte Lussari, santuario dei tre popoli: pellegrini, montagnini e da oggi ciclisti. Da un’altra, da oggi lontanissima, la Planche des Belles filles dove il campione sloveno qualche anno fa perse un Tour. Roglic cancella i fantasmi, finalmente raddrizza quel casco che in Francia all’arrivo portava in modo scomposto di traverso sulla fronte, su un viso stravolto dalla fatica e dal rimpianto. Quasi in segno di resa. Il ciclismo è così, vive di gioie, di drammi, di esaltazioni, di delusioni, di riscosse, di rese, di romantiche sconfitte, di epiche vittorie. Non si sa a chi tocca. Generalmente al migliore, a chi ha conti da regolare, a chi pedala sotto una buona stella. Roglic e Thomas, ne resta uno solo. In una giornata si giocano un Giro di tre settimane: forti, capaci, leali, amici. Perchè sono amici i due, si stimano. Oggi prima di cominciare, pugno contro pugno, si sono salutati ben sapendo che uno solo avrebbe gioito. Sono amici non solo in bici ma anche dopo, fuori, a casa, a Monaco dove i loro figli giocano insieme. Ma sul Monte Lussari queste storie non si possono raccontare, anche perchè il ciclismo non le vuole sentire. E’ uno sport semplice, per questo popolare. Altrochè regole, regoline, gironi, gironcini, fuorigioco, superleghe e chissà cos’altro. Nel ciclismo bisogna solo pedalare forte e arrivare davanti in una legge antica che santifica la fatica uguale per tutti nello stesso identico modo. Uno sport dove tutti si battono , dove tutti sognano ma poi alla fine uno solo non si sveglia di soprassalto. Uno sport dove, per una strana legge del contrappasso, la voglia ti porta spesso a celebrare chi arriva dietro. Roglic e Thomas se la sono giocata così. Dopo la pioggia, dopo il vento, dopo la cadute, dopo i cani randagi, dopo il Bondone e le Tre Cime Lavaredo se la sono regolata sui tornanti di una montagna con la strada in cemento che Partrick Lefevere, general manager della Soudal Quick Step, aveva liquidato come una sfida da circo. Che però ricorda un po’ la storiella della volpe e dell’uva…Spalla fino all’ultimo respiro, ad occhi chiusi con le mani strette sul manubrio e le gambe in fiamme. Tre secondi, poi sedici, poi dieci, poi quattordici. Sufficienti. Nulla che si possa vedere e neppure immaginare perchè questo alla fine dice cronometro. Sarebbe stato meglio far vincere tutti e due, ex aequo si dice in latino, ma il ciclismo non traduce. E allora Primoz vince e Geraint perde che se fosse finita pari e patta sarebbe stata la cosa più giusta, come sul ring dove spesso capita che l’arbitro alzi le mani di chi se l’è date e le ha prese senza far torto a nessuno. Sarebbe dovuta finire così, senza vincitori nè vinti, anzi con due vincitori. Ma nel ciclismo vince uno solo e per questo è lo sport più bello che c’è…