Una pedalata al Ghisallo si fa sempre volentieri. Salita iconica che racconta il ciclismo di sempre con la sua Chiesa, il suo Museo, i suoi campioni. Salire sul Ghisallo, da entrambi i lati senza fare troppo gli schizzinosi, è sempre una bella emozione anche magari a Ferragosto. In bici si fanno un sacco di pensieri soprattutto quando si è da soli e soprattutto quando si va in salita. Si pensa perchè c’è tempo e perchè così si fa meno caso alla alla fatica anche se non è vero. E quando si pensa tornano alla mente i ricordi. Uno in particolare. C’era una volta la Vigorelli-Ghisallo. Tre, forse quattro edizioni di una pedalata fantastica che metteva insieme due luoghi mitici del ciclismo: il Vigorelli e il Ghisallo. C’era profumo di buono. Che non era il profumo del legno e dei listelli. Non era il profumo antico della lana grossa delle maglie rosa che stannno giù dalla seconda rampa nel museo di Magreglio. Non solo quello almeno. La Vigorelli-Ghisallo profumava  di ciclismo perchè era un atto d’amore, un omaggio disinteressato  ad uno sport popolare che sa apprezzare la fatica di chi pedala ma anche di chi si fa in quattro per permettere agli altri di pedalare magari perdendoci il sonno. La differenza era quasi tutta qui. E quando il ciclismo profuma di buono lo capisci al volo perchè è lontano dalle logiche del business, perchè ti dà tutto ciò che ha e tutto ciò che può, perchè ti mette a tuo agio. Entravi al Vigorelli prima di partire e restavi  imbambolato a guardarti attorno anche se non era la prima volta, anche se non era cambiato nulla o forse proprio per quello. Un camioncino della Faema che offriva un caffè, quello che stava sulle maglie di Eddy Merckx, una brioche, quattro chiacchiere e via…C’era ( e c’è)  tanto ciclismo pedalando dal Velodromo verso il Ghisallo che non sono 70 0 90 chilometri ma un’idea affascinante, un viaggio che mette insieme un sacco di cose, una piccola avventura a pedali che ognuno scrive a suo modo, con una bici da diecimila euro ma anche con il “cancello” del cuore o con una bici da passeggio che sembra impossibile e invece si può. Tutti appassionatamente insieme ma tutti uguali perchè la Vigorelli-Ghisallo funzionava così: bastava esserci,  pedalare anche con la pioggia, anche con il diluvio. Pedalare per a gioia di farlo.  C’era ciclismo nelle facce, nelle gambe, nei racconti di chi  incontravi, di chi superavi, di chi ti stava a ruota.  C’era ciclismo quando ti avvicinavi al Ghisallo,  quando arrivavi in cima ed entravi in quella  chiesetta dove ci sono le bici di Fausto, Gino e Felice… C’era ciclismo quando scendevi le scale del Museo che è un gioiello tra le montagne ma che forse neppure Fiorenzo Magni sognava così ben allestito, organizzato e ben tenuto. C’era ciclismo anche in un panino al prosciutto, in un piatto di riso, in una birra e in un cappellino nero che vale quel che vale ma è molto di più di ciò che sembra. Perchè è il pensiero che conta. E di pensiero in pensiero ce n’è uno che ricorre e un po’ tormenta: ma perchè la Vigorelli-Ghisallo non si corre più?