Nell’estate dei viaggi, delle vacanze in bici che portano sulle strade lombarde turisti e appassionati, che invitano pedalando a scoprire angoli nascosti, pianure, canali, Navigli fiumi e grandi montagne c’è un viaggio che è l’origine di tutti i viaggi. C’è un viaggio che ha tracciato la via. Il cicloturismo, l’avventura a pedali che i tempi moderni hanno tradotto con l’inglese in «bikepacking», ha la sua origine proprio in terra lombarda, sulle alte vie della Valtellina, terra aspra e di grande tradizione ciclistica. Più di un secolo fa Renzo Monti fu uno dei primi ciclo viaggiatori a partire mettendo sulle sue bici piccole cose e grandi sogni.

Pedalava su una bici da venti chili. Anche qualcuno in più. Tubi pesanti, bacchette, raggi, parafanghi, fanali, selle di cuoio e un trionfo di ferro e di lamiere. Ma il gesto era lo stesso, quello di sempre, quello di oggi. Salire in sella, raccomandarsi al cuore e ai muscoli e liberare la mente. Funziona sempre così. Perché la bici muove l’anima. Viaggi e passione, avventure da vivere e raccontare. Un secolo fa sulla strada di Chiavenna per Colico Monti partì per il suo viaggio da Como a Vienna, sfida di un pioniere del cicloturismo che oggi è diventato un business. Un cappello da alpino, baffi, pantaloni alla zuava, stivali e gilet a proteggere una camicia bianca sbottonata sui polsi e via per la prima «gita ciclo-alpina-ferroviaria» dall’Italia a Monaco di Baviera, lungo il Danubio fino a Passau, per i viali di Vienna e poi di nuovo a Colico sulla via del ritorno.

Chilometri e chilometri, con una sacca a tracolla, con i portapacchi stracarichi, con le borse legate sui manubri, fotografati, raccontati, annotati su agende di viaggio che oggi sono patrimonio del Touring Club Italiano di cui il cavalier, ragionier Monti era socio «della prima ora». Monti documentava i suoi viaggi in bici con una precisione al limite della maniacalità. All’album fotografico si aggiungono altri documenti. Due taccuini telati: quello delle annotazioni dei viaggi e delle gite compiute tra il febbraio 1908 e l’aprile del 1915, più un salto in avanti al giugno 1922; e quello tutto dedicato al viaggio da Como a Vienna e ritorno, nell’agosto del 1907, corredato da una colorata altimetria del percorso. Altri simili «strumenti di viaggio» sono i fogli altimetrici ripiegati a soffietto di altre ciclo-escursioni tra il 1906 e il 1910.

Amore per la bici e per la strada. Foto in bianco e nero che oggi sono diventate digitali, grane grosse e fini trasformate nei pixel di una passione che non si spegne, che trasforma ogni viaggio nell’avventura di sempre. E la magia del viaggiare a rilento, adagio. Di poter scegliere le strade secondarie, quei rami secchi che la velocità dei giorni nostri ha deciso che non servono più, che su navigatori degli smartphone non sono consigliate. Anzi sono assolutamente sconsigliate. Perché ci si mette troppo tempo, perché si allunga, perché la deviazione è esagerata e non economica. E il bello sta proprio lì. Puntare sulle vie più lunghe, sulle alternative più improbabili, andarsi a cercare qualche imprevisto. Anche qualche guaio perché bici aiuta a sporcarsi le mani di grasso, a sudare, a capire che la fatica è un premio quando c’è una salita, un passo da conquistare. Aiutava quella pesante del cavalier Monti quando i copertoni di scorta si incrociavano sulle spalle, aiutano quelle veloci e leggere di oggi con le gomme che si riparano con i gel.

Un’estate di viaggio cominciata nel secolo scorso da Como a Vienna e che non si è più fermata, che è diventata pian piano meno avventurosa ed oggi addirittura di moda. Si pedala e ci si avventura dove i motori non osano. Sulle strade, sulle carrettiere, sugli sterrati che sono la spina dorsale dei paesi, i capillari dei territori che conservano le tradizioni, i colori, gli odori e i sapori di mondo che non condivide e non si connette. Resiste. Che custodisce le facce e le mani rugose della gente che si alza all’alba e si corica al tramonto, che sa di caglio, che del maiale non butta nulla, che col lardo ci fa anche il sapone, che è l’esempio di come una volta le economie domestiche erano cicli virtuosi perfetti. «Smart» come si dice oggi. Con la bici il cavalier Monti nel 1907 attraversava quei mondi lì, ne metteva qualche pezzettino nella sua bisaccia e se li riportava a casa. E oggi da qualche parte ancora si può fare. C’erano una volta le bici da venti chili, c’erano Coppi e Bartali, c’erano gli eroi caduti, quelli un po’ maledetti, e c’erano i viaggiatori sognanti e visionari sempre pronti a partire. E per fortuna ci sono ancora