Ci sono un olandese, un belga e un inglese che corrono in bici nel fango e spiegano, in un pomeriggio che sa ancora di Natale, come il ciclocross  stia diventando il ciclismo del futuro e qual è la strada molte federazioni dovrebbero imboccare per riportare i ragazzini a pedalare. Sembra l’inizio di una barzelletta è invece è la fotografia di uno sport antico, spesso snobbato, che come l’Araba Fenice  risorge dalle sue ceneri e ritorna a catturare l’attenzione di tifosi, sponsor e televisioni. Non solo epico e spettacolare ma soprattutto sicuro e capace di togliere un bel po’ di paure a molti genitori che non se la sentono proprio di mandare i figli ad allenarsi sulle strade. Ciò detto, la cronaca è un dettaglio: sul circuito belga di Gavere, decima prova di Coppa del Mondo, vince Mathieu van der Poel, Wout van Aert arriva secondo e terzo si piazza Tom Pidcock che però era partito i retrovia. Come da pronostico, come sempre, come spesso accade quando in gara ci sono questi tre che si dividono gloria e vittorie . L’olandese campione del mondo della Alpecin-Deceuninck,  un po’ più spesso degli altri due: è alla quarta vittoria in quattro gare disputate, oggi chiude rapidamente la pratica facendo il vuoto su tutti quanti già a metà del primo giro e poi gestendo fino al traguardo il margine accumulato nelle prime tre tornate. Nulla da fare per  Van Aert  nuovamente secondo e giunto all’arrivo staccato di 36″ inseguito da Pidcock  che nel finale si mette dietro Joris Nieuwenhuis più coriaceo che mai. Ciclismo allo stato puro. Classe, abilità, fatica, rivalità, potenza e incertezza che fanno di questo pedalare “operaio” il nuovo show,  terra di conquista di grandi squadre e grandi campioni, teatro di imprese d’altri tempi, senza troppi calcoli. Un mondo a sè. Un  pianeta che brilla e che è  sempre meno la palestra open air di  chi vuol svernare in attesa delle gare sulla strada.  Il ciclocross è un’altra cosa.  Il fango di oggi in Belgio racconta tutto il fascino di un sport nato alla fine dell’Ottocento nelle pianure della Francia e del nord Europa quando i ciclisti, che non avevano timore di uscire dalle vie principali, si azzardavano a pedalare tra campi e sentieri. Le strade erano spesso piene di buche o segnate dai solchi lasciati dai carri e per questo in molti passaggi bisognava smettere di pedalare, scendere di sella e continuare con la bici in spalla. Ciò era e ciò è rimasto per una specialità che riporta indietro nel tempo, quando a sporcarsi la faccia e le gambe di terra c’erano anche i campioni che, non è un caso,  stanno tornando. Da qui si dovrebbe ricominciare. Realizzando circuiti su cui gareggiare ma soprattutto su cui far allenare in sicurezza i ragazzi, anche nelle grandi città o forse soprattutto nelle grandi città dove parchi e spazi non mancano. Circuiti che non hanno bisogno di chissà quale investimento, lontani da traffico e auto per far crescere i più giovani  insegnando loro, come solo il ciclocross sa fare, come si va in bici,  i trucchi per non cadere, come cavarsela in tutte le situazioni. E poi il fango. Il fango è l’inchiostro con cui si scrivono pagine indimenticabili dello sport. E’ la polvere magica che ci fa tornare un po’ tutti bambini quando si aspettava la pioggia per andare a giocare al campo. E’ il coraggio di provarci lo stesso anche quando non si potrebbe o non si dovrebbe. Il fango è l’essenza del cross e  di un ciclismo forse meno aristocratico però più epico  ma soprattutto con meno pericoli. Che con l’aria che tira…