Domani si corre il Giro delle Fiandre. Non ci saranno Pogacar e Van Aert e allora vincerà Van der Poel o forse Pedersen o forse Wellens, Jorgenson, Mohoric o forse ( magari)  Alberto Bettiol.  Ma forse poco importa perchè il Fiandre resta il Fiandre che, come direbbe Giancarlo Brocci, per chi è malato di ciclismo è un po’ la messa di Natale. E questo Natale laico va oltre ogni cosa, ogni impresa, va oltre i suoi campioni, fa storia e leggenda a sè. Si sa quasi tutto della “Ronde” . Che è un monumento, che prima che arrivasse il Leone Fiorenzo Magni lo vincevano sempre i fiamminghi, che poi sono arrivati tutti gli altri, sempre fuoriclasse perchè questa è una sfida che non si vince per caso. Si sa che sono i muri, che è  la storia del ciclismo, sono un Paese che pedala, che sta sui bordi delle strade ad applaudire, sono birra e panini  aspettando la corsa, sono il pavè che non è un fastidio da asfaltare.  Sono i paesini che vivono addormentati per un anno tra le campagne, tra case e cascine che sembrano un dipinto fiammingo, sono i cieli bassi,  gli sterrati infiniti nei boschi e la brezza del mare del Nord. Sono strappi dai nomi impronunciabili dove le bici imbizzarriscono, i muscoli pure, dove si va su come  ubriachi,  dove piuttosto che mettere un piede a terra uno se lo fa tagliare. Sono il  pavè del Paterberg, la chiesetta del Kappelmuur che in tanti si segnano quando passano, sono le pietre grezze del Koppenberg, l’infinità del  Kwaremont dove la fatica è una smorfia che sfigura le facce. Non c’è una storia che inizia e finisce. Non c’è gruppo compatto, non c’è scia, non ci sono treni. Qui più che altrove ognuno per sè e Dio per tutti. Non è il ciclismo eroico perchè  “nell’inferno del Nord” la retorica è gratis e nessuno la vuole più. E’ solo storia che tiene insieme tutte queste cose e che un giorno del secolo scorso divenne leggenda ovviamente per caso, quando il giornalista, indipendentista fiammingo Karel van Wijnendaele per far pubblicità al suo giornale lo Sportwereld  organizzò il Fiandre  per la prima volta. Va così, le grandi epopee cominciano sempre per caso. E la Ronde in un secolo è diventata il riscatto della Vallonia, terra ordinata e perfetta, di villette e giardini, dove fa buio in fretta, dove il tempo scorre lentissimo, dove il ciclismo è religione, si santifica, si gode della vigilia che fa fremere e sperare e poi vola via tutto in un giorno, troppo in fretta, lasciando il magone di un anno che, dopo lo sprint, dovrà nuovamente passare. Tradizioni che sono diventate pane quotidiano per chi ha nel sangue le corse del Nord. Per chi vive quel ciclismo lì che è uno sport ma anche uno stile, una “fissa”, un modo di essere fuori dalle convenzioni e dalle rotte. Le classiche del Nord sono corse fuori concorso e fuori-tempo, sono una rivoluzione fatta col “32”,  sono rock   suonato in chiesa. Ognuno ha il suo ciclismo e questo forse è quello che ti tira dentro di più.  A Ronse c’è una birreria che si chiama “Vigorelli”,  una bella insegna rossa che mette allegria e dà una botta a giornate che da queste parti sono spesso “perfettamente fiamminghe” ciòè  grigie, fredde, ventose e piovose: “Il tempo perfetto per correre la Ronde…”. Giri secco a sinistra, passi un murales con uno che sembra Roger de Vlaminck ma probabilmente non lo è, e ti ritrovi a fare i conti con un’arrampicata secca che si perde a vista d’occhio. Per fortuna non c’è pavè che qui è quasi ovunque e ti fa traballare come una bottiglia di vino in bilico su una lavatrice mentre centrifuga. Però  il muro è tosto come lo sono tutti gli altri. Muri “contadini”, costruiti per andar nei campi, fatti per i trattori che vanno su dritti senza svolte, senza tornanti, senza tregua, senza troppi riguardi. Tratturi per il bestiame, pietre poco adatte a ruote e copertoncini, da prenderci la mira, pronte disarcionarti se ci finisci dentro di traverso. Muri che diventano nobili solo una settimana l’anno. Ma quelli sono e quella basta  per fortuna. Che ogni volta viene la pelle d’oca, che un conto è raccontarla la Ronde, un altro è venire qui a viverla e pedalarla…  E allora ti spieghi come, dopo tanti chilometri, dopo tante pietre, dopo tanto vento, dopo tanto freddo, dopo tanta acqua e dopo tanto fango chi vince non conta…Vince sempre il migliore.