La Roubaix a Van der Poel: non c’è storia. Anzì sì, la sua
Ha fatto più rumore la chicane all’ingresso della Foresta di Arenberg che la vittoria, la seconda di fila, di Mathieu Van Der Poel. Non c’è storia, anzi sì: la sua. C’è chi sulla Roubaix chiacchiera e fa polemiche e chi invece , senza quasi proferir parola, se ne va a più di 60 chilometri dal traguardo e arriva solo, solo nel velodromo con quasi tre minuti di vantaggio. Non c’è stata storia e, a rigor di logica, con le assenze di Wout van Aert, di Tadej Pogacar, di Remco Evenepoel non poteva essercene. Ma le corse comunque bisogna correrle e vincerle. Quindi onore al campione del mondo che porta la maglia iridata sul traguardo di Roubaix come solo in pochi altri grandi hanno saputo fare, come Francesco Moser, come Tom Boonen, come Peter Sagan. Onore ad un campione del mondo che, come ha detto al traguardo, sta vivendo un sogno che sta andando oltre le previsioni… Onore ad un fuoriclasse assoluto che a questo punto rincorre solo la sua storia. La Roubaix è andata. E stata la più veloce di sempre con una media di 48,700 ed è finita ancor prima di cominciare quando l’olandese ha deciso che finisse, cioè sulle pietre di Orchies, settore numero 13, un’infinità ancora da pedalare. Nessun problema di sicurezza all’ingresso dell’ Arenberg ma non ce ne sarebbero stati anche senza transenne e deviazione. Nessun problema per il campione del mondo a mettersi dietro tutti e a pedalare in solitaria sulle pietre della Roubaix dove ormai ha già scritto un bel po’ del suo mito e continuerà a scriverlo chissà per quanto ancora. C’è il ciclismo di Vdp e c’è il ciclismo di tutti gli altri che, pesa dirlo, è un bel po’ di gradini sotto, che fa fatica a competere, che fa una tremenda fatica a tenergli le ruote, che ormai sembra dover convivere con un evidente senso di soggezione. Tant’è che quando l’olandese decide di accelerare prende e se ne va senza neppure impegnarsi troppo. Almeno così pare, tanta è la classe che fa sembra facile anche ciò che ovviamente non lo è. Tant’è che quando Vdp allunga in un attimo dieci secondi diventano venti, diventano mezzo minuto, un minuto, due e fine dei giochi. Così sul pavè l’olandese sembra volare mentre gli altri arrancano e dopo una decina di chilometri alzano bandiera bianca: si pedala solo per il secondo posto. Come nel Giro delle Fiandre ci sono due corse. Ci prova Mads Pedersen, ci prova Nils Politt, ci prova Stefan Kung, non ci prova e rimane giustamente a ruota senza tirare un metro Jasper Philipsen che del fenomeno è compagno di squadra e che poi nella volata degli inseguitori mette in riga Pedersen e arriva secondo. Ma è un’altra gara. Quella che conta è quella che si vola via Mathieu Van Der Poel: Templeuve, Mons-en-Pévèle, Bourgelles, Carrefour de l’Arbre, le pietre sembrano un’autostrada sotto le ruote dell’olandese che tira sui pedali anzichè spingere perchè sul pavè così si deve fare se non si vuole impazzire. Lo fanno anche gli altri ma la differenza salta all’occhio. Così alla fine vince il più forte come si pensava e come è giusto che sia. Che per il ciclismo è gloria e storia da raccontare anche senza bisogno di esagerare con la retorica e con gli aggettivi perchè sfide come Fiandre a Roubaix si raccontano da sole, anche a bassa voce anche in silenzio… “Mi sono divertito, è stata una giornata volata via velocissima- racconta Vdp al traguardo- é un sogno rivincere la Roubaix con la maglia di campione del mondo. Nuovi obiettivi? Sì ora mi riposo…”. Ma non ci crede nessuno