Dal Covid a Boston, la maratona dell’ex assessore lombardo Gallera
Dalla prima Stramilano a Boston la strada è lunga, lunghissima. Ma Giulio Gallera, 56 anni, consigliere regionale di Forza Italia e assessore alla sanità nel periodo più drammatico che la nostra storia recente ricordi quando il Covid mise in ginocchio la Lombardia e non solo la Lombardia, l’ha percorsa tutta. Con la passione che serve perchè una maratona resta una maratona, sfida sportiva altissima e affascinante, esercizio perfetto di coraggio e tenacia, metafora precisa del conto che spesso la vita ci presenta. Una via lunga che pochi giorni fa lo ha portato a concludere la maratona di Boston in 4 ore e un minuto ma soprattutto a mettersi al collo «corona» di finisher delle Abbott World Marathon Major che premia chi è arrivato in fondo alle sfide più importanti da New York a Londra da Berlino a Chicago a Tokyo e appunto Boston.
Boston non è una maratona qualsiasi. Chi si iscrive a Boston lo sa. Boston va al di la della cronaca, di chi la corre, di chi la vince, di campioni, storie, assenti e presenti. Boston è Boston, la vera maratona americana, quella che conta. Più di New York, considerata commerciale, da “parvenu” della fatica, da turisti. Boston è Boston da sempre, da 129 anni sempre il terzo lunedì’ di aprile durante il Patriot’s day la festa che in Massachusetts celebra l’inizio della rivoluzione. Boston che si è sempre corsa, senza mai un’interruzione neanche durante guerre e terremoti. Boston è il fiore all’occhiello degli americani, il punto d’orgoglio, la loro storia sportiva, il simbolo che conservano. Boston è la maratona più dura del mondo con quella sua collina spaccacuore a dieci chilometri dall’arrivo; la più iconica con l’arrivo a Boylston Street e la sua finish line in vinile che viene incollata a terra ogni anno (sempre la stessa) e poi lascia posto ad una striscia bianca disegnata il giorno dopo che rimane lì per tutto l’anno. Tutto ciò che accade a Boston è sempre un po’ più stroria che altrove.
La corsa, una passione è nata per caso. Così come capita spesso con le cose della vita l’incontro fatale di Giulio Gallera con la corsa arriva per caso. «Sì in realtà è cominciato tutto tanti anni fa quando ero assessore al Decentramento del Comune di Milano – raccontava tempo fa alla vigilia della sua prima maratona – C’era la Stramilano e con i Municipi avevamo organizzato una serie di iniziative con band musicali e gazebo per salutare e promuovere il passaggio della corsa e sfatare la brutta diceria che voleva Milano fredda e a volte ostile con i podisti. Poi quasi per gioco ho deciso di correrla. Pensavo che mai avrei finito quei 10 chilometri, invece…” E invece dal Parco Sempione ai Navigli la corsa è entrata stabilmente nelle sue giornate, nelle sue abitudini da condividere con un fedele gruppo di amici nelle pause di lavoro e nelle spesso nebbiose e fredde mattinate lombarde tra allenamenti e tapasciate.
La prima maratona a Venezia. Il debutto sui 42 chilometri e 195 metri per il consigliere azzurro arriva ormai quasi cinque anni fa tra i ponti e le calli della laguna. La Venice marathon per Gallera non era in programma perchè il “debutto”, al fianco dei soliti amici di corsa, era previsto qualche settimana dopo in Spagna a Valencia. Ma è Giusy Versace, incontrata per caso ad un evento, a fargli decidere di rompere gli indugi chiedendogli di partecipare alla sfida veneziana per sostenere la sua associazione “Disabili no limits” . Detto fatto, è il battesimo sulla distanza più dura e visto che la “prima” è buona seguono poi un paio di Cortina-Dobbiaco ed altre maratone ancora.
L’assessore della pandemia. Prima dello scatenarsi della pandemia Gallera sta preparando la Maratona di Praga. Funziona sempre così. C’è qualcuno nel gruppo che lancia l’idea, un altro che la sostiene e si comincia a correre con un obbiettivo che poi per molti è un sogno in un cassetto. Ma Praga nella bacheca dell’ex assessore al Welfare lombardo non ci finisce. Sono i giorni in cui irrompe sulla scena Mattia Maestri, lui pure maratoneta ed oggi anche Ironman, ma allora diventa protagonista delle cronache perchè, rivoverato all’ospedale di Codogno, è il paziente numero zero del Covid in Italia. E’ l’inizio di una guerra combattuta a mani nude…Ricordi, ovviamente non solo sportivi, di un periodo drammatico vissuto tragicamente in trincea. Ricordi che sono tornano alla mente proprio alla vigilia della maratona di Boston quando arriva la notizia della scomparsa di Papa Francesco. «Abbiamo corso portandolo nel cuore – ha raccontato pochi giorni fa Gallera al Giornale – Tra l’altro, come nella corsa il tema è essere sempre costanti, stringere i denti, affrontare la fatica, il Pontefice fino all’ultimo ha dato una grande prova di resilienza al dolore. É stato un esempio per tutti, fino agli ultimi giorni ha voluto essere vicino ai fedeli o ai detenuti in carcere. É stato sempre vicino ai fragili, ai sofferenti, a chi si dava da fare per gli altri»
Un ricordo e un insegnamento. «Siete stati una delle colonne portanti dell’intero Paese. A voi qui presenti e ai vostri colleghi di tutta Italia vanno la mia stima e il mio grazie sincero». Era il 20 giugno 2020, l’emergenza Covid è ancora più viva che mai e Papa Francesco vuole ricevere in udienza privata una sessantina di medici, infermieri e operatori sanitari provenienti dalla Lombardia, tra le regioni più colpite. Le immagini choc delle bare portate via da una colonna di camion dei militari a Bergamo hanno fatto il giro del mondo. Il governatore Attilio Fontana guida la delegazione, con lui c’è Gallera, in prima linea durante la pandemia. “Tutti eravamo sopraffatti dalla fatica, da un senso di impotenza per le morti, anche dalle polemiche assurde sulla gestione dell’emergenza- ricorda- Il papa aveva voluto incontraci e con noi c’erano anestesisti, infermieri, chi lavorava nelle camere mortuarie o chi prestava soccorso come volontario della protezione civile». Finita l’udienza al momento dei saluti i Papa ferma tutti: “State seduti, passo io salutarvi uno a uno…” e fa il giro dedicando due o tre minuti a ciascuno di noi. “Quando è il mio turno gli confessai che sentivo un peso durissimo, la fatica, l’angoscia per i morti- ricorda Gallera- Mi disse “dovete essere orgogliosi di quello che avete fatto“. Le sue parole sono state un sollievo, è come se avesse voluto toglierci un peso dal cuore. Non lo dimenticherò mai…».
