“Sono uomo di pace e vorrei la pace in tutto il mondo. Mi fa male al cuore vedere civili e bambini che perdono la vita. Però noi facciamo un mestiere e abbiamo il dovere di giocare. Però spero si trovi una soluzione. Non solo a Gaza, ma per tutte le altre guerre che mi fanno male al cuore». Rino Gattuso, neo ct della nazionale, non ha solo problemi di formazione e classifica. Magari.  Due gare ravvicinate, venerdì a Bergamo con l’Estonia, lunedì a Debrecen, in Ungheria, al confine con la Romania, contro Israele.  Gara delicata quella con gli israeliani, non calcisticamente. Le tensioni sono altre. E poi ad ottobre, il 14 in Italia a Udine, le cose si faranno ancor più complicate perchè il sindaco di Udine, Alberto Felice De Toni, che guida una maggioranza di centrosinistra, in una intervista al «Messaggero Veneto» la partita con gli isaraeliani non vuole proprio che si giochi:  “Non fomentiamo le polemiche ma  non è  il caso…” spiega,  la sua idea è di rinviare per poi «recuperare»  per evitare eventuali problemi di ordine pubblico contando anche sul sostegno di 20mila firme raccolte da una petizione online lanciata da «Possibile»per chiedere lo stop al match.

Difficile separare sport e politica. Praticamente impossibile. Estromettere i Paesi in guerra dalle competizioni sportive è pratica ricorrente, dalla Russia ad Israele negli ultimi casi. “La sospensione di Israele da tutte le competizioni sportive internazionali è un atto dovuto e di responsabilità non un gesto di vendetta… “. Scivevano poche settimane fa i responsabili delle politiche sportive del Partito Democratico che si sono fatti promotori insieme a 44 parlamentari dem dell’appello al Comitato Olimpico Internazionale, al Presidente del Coni e al Presidente della Figc affinchè si facciano portavoce, presso Cio, Fifa e Uefa della sospensione di Israele dallo sport.

Sarà. Ma al di là delle posizioni, delle condanne, delle necessarie prese di distanza dalle atrocità di guerre, di morti, bimbi uccisi resta, come sempre accade quando un Paese viene “escluso” dallo sport, un grande senso di amarezza, come se si perdesse un’occasione, come se si chiudesse un ultimo spiraglio, come se si perdesse la speranza. Perdono tutti in questi casi.

Perde lo sport che non riesce a pacificare perchè non riesce a chiamarsi fuori dai conflitti, dall’odio, dalla storia. Perde la politica che rinuncia al più antico strumento di mediazione tra i popoli, perdono le Federazioni, gli atleti. Si può discutere all’infinito sul significato dei simboli, se hanno valore o se sarebbe più efficace o più giusto far partecipare o escludere gli israeliani (ma anche i russi) da competizioni, gare, mondiali, Giochi… Sicuramente sì ma la simbologia dello sport ha un valore alto che non è solo forma ma anche sostanza ed ogni atto o azione è un atto di politica.

Con lo sport si fa un’altra politica e in un certo senso anche un’altra guerra. Sono un simbolo gli atleti per ciò che fanno e, nel bene e nel male, vengono portati ad esempio ed emulati. I regimi fascisti in Italia e Germania li presentavano alla stregua di guerrieri della nazione. Sono state un simbolo le imprese sportive negli anni della Guerra Fredda, “sfide” tra i sistemi capitalistici e quelli comunisti. È stato un simbolo la sfida di ping pong tra Usa e Cina che precedette la visita storica del presidente Richard Nixon a Pechino. Sono stati un simbolo della lotta al razzismo i pugni alzati con i guanti neri dei velocisti americani Tommie Smith e John Carlos sul podio delle olimpiadi di Città del Messico nel 1968. E si potrebbe continuare.

Lo sport nella storia è stato utilizzato spesso da governanti e dittatori come strumento di celebrazione del potere, della forza e di presunte superiorità militari e non solo militari e lo stesso Pierre de Coubertin, fondatore delle moderne Olimpiadi, lo considerava come mezzo per promuovere nella gioventù francese la disciplina militare. Sono state sfide politiche Iran-Usa ai Mondiali di calcio di Francia 1998 e quella tra Argentina ed Inghilterra nel giugno del 1986, allo Stadio Azteca di Città del Messico che regolava i conti dopo il blitz inglese alle Malvinas. Eun simbolo politico assoluto è il gol di mano di Diego Maradona: “la mano de Dios”. Sport e politica s’intrecciano, si scontrano, si affrontano ma seguono destini comuni che spesso aprono strade nuove, aprono prospettive, “pacificano”. Forse per tutto ciò non ci dovrebbero essere dubbi se giocare o meno Italia-Israele a Udine.