La lezione di Papa Leone XIV: per vincere il Giro bisogna fidarsi
Nella vita bisogna avere qualcuno di cui fidarsi. E, di questi tempi, è il miglior messaggio possibile. Oggi finisce il Giro con l’emozione della benedizione in Vaticano di Papa Leone XIV che ha ricevuto il gruppo spiegando quanto lo sport faccia bene al fisico e allo spirito e quanto gli atleti siano d’esempio. Bisogna fidarsi di ciò che dice il Papa: lo sport è davvero una via sicura per crescere bene, per trasmettere qualche valore in più, Ciò detto il Giro finisce con Simon Yates in rosa che è una bella storia di riscatto, di rivincita, che vince perchè è andato forte ma anche perchè ieri sul Colle delle Finestre ha trovato un campione come Wout van Aert che gli ha dato una mano una bella mano. Yates si è messo in mani sicure, gli ha preso la ruota e si è fidato e infatti al Sestriere ci è arrivato in un amen vincendo quel Giro che da sette anni lo tormentava.
E allora tornano le parole del papa, sulla lezione dello sport. Che è anche questa: bisogna fidarsi sempre, anche quando gira male, quando sembra che sia finita, quando sei dietro, quando arranchi, quando cadi. Anche per vincere il Giro d’Italia bisogna fidarsi e Simon Yates ha capito subito che della sua squadra si poteva fidare. Ha vinto con le sue gambe, certo ma anche perchè sapeva che tutti in squadra e sulle ammiraglie, in cucina , sul bus e nei magazzini pedalavano dalla sua parte. Vuoi mettere? Lo ha vinto così il Giro 108, uno dei più combattuti, quello delle rivalità prima tra Jau Ayuso e Isaac del Toro e poi quella tra del Toro e Richard Carapaz che ha infiammato le Finestre ma anche un bel pezzetto di America latina.
Un Giro senza campioni? Non proprio. Certo non c’erano Tadej Pogacar, non c’era Jonas Vingegaard e non c’era Remco Evenepoel e non è poco. Ma gli altri? Gli altri c’erano. C’era e si è visto un monumentale Mads Pedersen che ha chiuso con una maglia ciclamino e una serie di vittorie che in parte lo ripagano della delusione di Roubaix dove aveva tutte le carte per giocarsela e non ha potuto. C’era Richard Carapaz che va sempre messo in conto, che ha sfiorato un bis che forse aveva nelle gambe ma non nella testa. C’era Primoz Roglic che non ha avuto fortuna, che forse non avrebbe vinto, che però resta un campione che va al di la delle critiche. E c’erano i nostri: Giulio Ciccone, Giulio Pellizzari e Antonio Tiberi ma non è andata come si sperava. C’era anche Damiano Caruso, inossidabile nonostante l’eta. C’erano Isaac del Toro e Jan Ayuso, due giovani galletti nello stesso pollaio ma con tanta stoffa da campioni. C’erano, ci sono e ci saranno nei prossimi anni.
E poi c’era Wout van Aert. Meno male che c’era Wout van Aert. Quando in gara c’è il fiammingo le corse sono sempre un’altra cosa. Qualsiasi cosa accada lascia un segno: che vinca, che perda, che si metta a tirare per coprire un buco, che vada in fuga sulla salita delle Finestre per poi dare una mano a Yates a vincere il Giro, che faccia l’ultimo vagone del treno Visma nelle volate per lanciare Olav Koij. Cosi è stato oggi a Roma. Si sono fidati di lui un po’ tutti. Koij ha vinto un paio di tappe, Yates il Giro dei suoi sogni. La differenza forse è tutta qui.
