<Ti ho riconosciuto dalle scarpe. Ho visto la moto, poi ho dato un’occhiata alle Mizuno e ho capito che eri tu…>.  Ore 10 di stamattina in viale Legioni Romane a Milano.  Per caso, fermo ad un semaforo, può capitare di incontrarsi  con Camillo, sommozzatore, volontario della protezione civile, ciclista, runner di quelli veloci e compagno di maratone anche a New York. Basta un’occhiata per riconoscersi. E cosa colpisce  un podista fermo ad un incrocio se non un paio di scarpe da corsa? Sono un segno distintivo, un po’ come i blu jeans o il gessato, la polo o la camicia,  la cravata o il collo sbottonato. Ognuno se le cuce addosso. Senza una regola, anzi no con una sola regola da rispettare. Quando si entra in un negozio specializzato in scarpe da corsa l’unica cosa da tenere a mente e di non chiedere mai il colore.  Si possono fare mille domande, si può tirare sul prezzo, chiedere lo sconto, confessare la propia incompetenza, barare ( poco) sui tempi di maratona ammettere anche che è la prima volta che si comprano un paio di scarpe da jogging. Ma se vi danno un paio di scarpe, quelle che  saranno le vostre scarpe, il colore non si discute. <Non è che magari anziche marroncine lo stesso modello si può aver giallo?>. No, non si può. E poi basta incrociare lo sguardo del commesso che vi sta davanti per capire che quella è l’unica domanda che non dovevate fare. Chi corre sceglie le scarpe in base al proprio peso, alla propria velocità e al proprio piede. Ci sono quelle da allenamento, da gara,  leggere, superleggere, protettive, per pronatori, per campioni, per <pippe> e per tapascioni. Ce n’è per tutti gusti, basta dare un’occhiata alle pareti dei negozi dove sono impilate e ti perdi. Sono il biglietto da visita.  Come la fototessera sul passaporto: apri, dai un’occhiata e capisci chi hai di fronte. Con la coda dell’occhio dai una sbirciata alle scarpe che uno ha ai piedi e più o meno capisci quanto va.  C’è chi le compra, le usa e le sfinisce senza mai lavarle. Ci sono quelli più fanatici che se le coccolano, le spazzolano dopo ogni uscita e arrivano addirittura a togliere i sassolini che si incastrano nelle fessure delle suole con la punta di un cacciavite. Ci sono quelli che ne hanno una collezione: per le tapasciate, per gli sterrati, per le corse su asfalto, per le gare brevi, per le gare lunghe e per le gare che contano. Ci sono quelli che le <archiviano>: con quelle ho corso New York, con queste altre Berlino, con quelle là ho fatto il personale a Rotterdam…E c’è anche chi le alterna: un giorno corre con un paio il giorno dopo cambia, l’altro cambia di nuovo e così via  perchè cosi non si <sgonfiano> troppo e hanno il tempo di ricaricarsi. C’è chi con le scarpe da running ci va a lavorare perchè sono comode, chi le usa per il tempo libero chi le usa sempre anche sotto il vestito buono perchè alla fine son un segno ditintivo. Un segno di appartenenza a una tribù che ha un suo codice d’onore e le sue regole. Una sola: mai chiedere il colore.