In una borraccia c’è l’essenza di uno sport. C’è la storia del ciclismo, la sua epica, la passione, il tifo, le polemiche . Ma fu  Coppi a passarla a Bartali o fu Gino che aiutò Fausto?  Ognuno si è fatto la sua idea e valgono tutte. Era il Tour del 1952, più di mezzo secolo fa. Ma quell’immagine è diventata il simbolo di un’epoca e di uno sport dove, nonostante tutto, vince sempre la fatica, dove l’avversario si rispetta, dove, se c’è bisogno ci si può anche dare, una mano. E al diavolo il doping! E oggi in tv mentre guardavo la prima tappa in montagna del Giro con arrivo a Monte Vergine è tornata in scena una borraccia.  Ventisei chilometri all’arrivo. Johnny Hoogerlad, che ieri ha festeggiato i suoi 28 anni soprannominato “Bull van Beveland” per via del tatuaggio raffigurante un toro che riporta in un braccio e delle sue origini legate allapenisola olandese di Zuid-Beveland, sta cercando di rientrare sui primi. Va come un treno ma non basta. Poi improvvisamente finisce l’acqua e ha sete. Alza un braccio ma l’ ammiraglia della Vacansoleil non c’è, è rimasta intruppata nel gruppo. Dietro di lui però c’è Luca Scinto, team manager della Vini Farnese, che ha un uomo in fuga. Ma non ci pensa un attimo ad aiutarlo anche se poi potrebbe soffiargli la vittoria. Dà un’accelerata, affianca Hoogerland, e dal finestrino gli passa una borraccia fresca.  Chapeau! Altro che il catenaccio, la melina o la  simulazione in area!  Una piccola storia di ciclismo. Direi un dettaglio. Ma quasi sempre sono i dettagli a fare la differenza.