Triathlon di Pella, tanto tuonò che piovve…
Tanto tuonò che piovve. E tanto. Ma soprattutto a Pella, sulle sponde del lago d‘Orta, quasi che Giovepluvio da queste parti avesse un conto da regolare. Così, stamattina quando l’alba faticava a trovar spazio tra un cielo grigio che di più non si poteva, veniva giù talmente forte che l’isolotto di San Giulio là davanti, a mezzo chilometro dalla riva, sembrava più la terra promessa che quel luogo incantevole che è. Lontanissimo e irraggiungibile, avvolto da una nebbiolina fitta che lo faceva sembrare ancora più misterioso e inquietante. Acqua ovunque. Dal cielo, sui piedi, dai teloni appesantiti dei gazebo, dai tavolini dei bar chiusi perchè la gente normale a quell’ora dorme, dalle canaline dei tetti sotto i quali trecento coraggiosi triathleti cercavano di ripararsi aspettando di capire cosa sarebbe stato di quello sprint che rischiava di finire annegato. Una truppa incelofanata con ogni cosa possibile e improbabile in attesa di conoscere un destino e di levarsi un peso. Niente bici, troppo pericoloso. Niente bici perchè una frana notturna, il fango e una discesa che sembra più un ruscello che una strada fanno vincere il buonsenso. E sia. Però qualcosa a chi è venuto fin qui, svegliandosi quando il sabato chi fa la vita va a dormire, bisogna far fare. E il Triathlon sprint di Pella si adegua. Si nuota e si corre su una distanza mezza inventata ma che serve a dare un senso a una domenica mattina e a riscaldare un popolo di irriducibili zuppo e infreddolito. E’ un tuffo liberatorio proprio quando il temporale si fa più intenso e il cielo s’incupisce ancora di più’. La solita tonnara in un lago tiepido che è quasi un sollievo. Ma l’ansia di una giornata scura che non brilla di colori e rende l’acqua ancora più minacciosa gioca brutti scherzi, così sono in tanti ad appoggiarsi alle canoe e qualcuno si ritira. La corsa è un lampo. Un giro secco di 1500 metri su è giù dai vicoli per dare un’occhiata a questo paesino che è un gioiello, poi di nuovo a riva per dire basta infilandosi nei panni asciutti. Resta la soddisfazione di una giornata strana , di quelle che i telecronisti Rai raccontando il mondiale di ciclismo a Firenze ( pioveva a dirotto anche lì) definiscono epiche. Restano le facce bagnate, gli abiti inzuppati, i vetri appannati delle auto, i sorrisi, e la mano tesa di un addetto dell’organizzazione che ti aiuta ad uscire dall’acqua. Resta la solita prestazione maiuscola dell’ Aurora Triathlon. Resta la passione di un popolo di matti che fa cose che molti non capiscono. Resta la piccola soddisfazione di dire “io c’ero”. E restano anche un paio di grosse ammaccature sulle ginocchia e un piede nero forse fratturato. Perchè in una giornata così puoi anche mettere in conto di cadere in bici ma non di finire dentro un tombino che ti si apre a tradimento sotto le scarpe mentre stai correndo sul lungolago.