Venticinque anni e sembra ieri. Sembra dietro l’angolo quel 2 ottobre di Seoul e invece e’ passata una bella fetta di vita. Che poi e’la storia tutta italiana di una olimpiade e il primo tassello della nostra leggenda di maratona. O forse il secondo sempre scritto in gerundio, da Dorando a Gelindo in attesa di cio’ che avrebbe poi suggellato Baldini ad Atene guidato dalla stessa mano di quel lungagnone veneto che vinse il primo oro in una 42 chilometri, quella di Luciano Gigliotti romanziere di tutti i trionfi azzurri. Il 2 ottobre di venticinque anni fa. Nell’alba dei fissati che hanno puntato la sveglia l’umidita’ di Seoul trapassa il televisore. Un caldo appiccicoso che ti piega le gambe e il cuore ma che regala un finale da brividi. Gelindo e’ terzo ed è’ già’ nella storia. Perché un bronzo alle olimpiadi e’ sempre qualcosa che resta. Terzo a un paio di chilometri dalla fine e sembra tutto scritto. La’ davanti a un tiro di schioppo ci sono Ahmed Saleh, il gibutiano che viene da uno dei posti più caldi della terra e Douglas Wakiihuri il keniano cresciuto in Giappone. Sono sempre loro, quasi una compagnia di giro, gli stessi protagonisti del mondiale dell’anno prima sul podio di Roma. Ma l’olimpiade e’ sempre un’altra storia. L’olimpiade e’ il sogno di una vita e per un maratoneta di piu’. E’ la via verso il paradiso e la gloria sempiterna. Cosi’, anche se non ne vuoi piu’ sapere, scavi dentro alla ricerca di tutte le forze che hai, di tutto quel poco che ti e’ rimasto e che non sai neanche tu quant’e’, non ci credi e’ solo una speranza. Ma se il keniano che hai davanti non guadagna un metro che uno, allora ci provi. E Gelindo ci prova. Aumenta, allunga, si piega un po di piu’ sulle spalle facendo attenzione a non farsi intrecciare i muscoli. Mette nel mirino Wakiihuri e lo passa via. Resta Saleh che viene dal caldo ma comincia a sentire i brividi sulla schiena. Sente il fiato sul collo e da’ un’occhiata sopra la sua spalla sinistra. Una volta, due e un’altra ancora senza vedere l’ombra di Gelindo. Che pero’ c’e’, ha solo cambiato lato della strada. E cosi’ non crede ai suoi occhi quando se lo ritrova a fianco con un ghigno di fatica e soddisfazione. Un ghigno che fa parte della storia. Manca un chilometro e mezzo e il sogno di Gelindo diventa l’incubo di Ahmed, che rompe come un trottatore e viene superato anche da Wakiihuri. Poi l’ingresso in pista, le braccia alzate e il bacio in terra, inginocchiandosi a fatica perchè i crampi sono lì, pronti ad inchiodarlo. Proprio quella domenica credo di essermi innamorato della maratona. Proprio in quella domenica credo che tanti italiani si siano innamorati della corsa piu’ straordinaria che si possa fare. Venticinque anni dopo la sua vittoria con il record italiano (2h08’19″), l’olimpionico di Longare e’ un manager affermato. Ma ha lasciato il segno: due volte campione europeo, a Stoccarda nel 1986 e Spalato nel 1990 nonché bronzo ai mondiali di Roma nel 1987 e’ stato l’unico campione olimpico a vincere la storica maratona di Boston. Gelindo trionfo’ nel ’90 ed è tornato a correrla un paio di anni fa da amatore. La febbre della maratona non si spegne tanto facilmente anche per chi di sodddisfazioni se n’è tolte, anche per chi è’ entrato nell’olimpo. Ora, ad ottobre, festeggia le nozze d’argento con il suo oro, l’oro di Seul. Vinto con il coraggio. Vinto con le gambe e con l cuore. Vinto con un ghigno.

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