Ci sono lettere che sono ancora come le lettere di una volta. Difficile oggi emozionarsi per un <tweet>, in 140 caratteri non sempre si riescono a trasmettere le sensazioni che si vogliono trasmettere. Si scrive, si clicca, si condivide poi arrivano i “mi piace”, tanti o pochi, molto spesso dati  senza pensarci troppo. Una lettera invece resta una lettera. C’è modo e tempo per spiegare e raccontare un sentimento, ci si può dilungare, argomentare, si colgono sfumature. Se poi una lettera è una dichiarazione d’amore verso lo sport che ami meglio ancora.  Giovanna Rossi presto farà un gara di triathlon e presto racconterà tutto in un blog.  Bene, male non importa. Basta leggere quello che mi ha scritto per capire che lo farà con passione. Ed è ciò che conta. Perchè è la passione che muove le cose…

Avevo in programma di scriverle da un po’, ma anche di farlo tra un po’, quando ciò di cui le avrei voluto parlare fosse stata una realtà, un progetto concreto. Lo faccio oggi, invece, spinta dall’ultimo post del suo blog, quello su Daniel Fontana in tv. Lo faccio di getto, mi perdonerò, ma le passioni e le rivoluzioni partono così. Senza pianificazione. Mi chiamo Giovanna Rossi, non sono un’atleta (neanche una appassionata di sport, di quelle che si muovono da sempre perché fa bene e mantiene in forma), sono mamma (come tante), lavoro (come quasi tutti), ho un’invalidità (qui siamo pochi, meglio così) e da poche settimane mi sto allenando per entrare nel meraviglioso mondo del triathlon. E’ stato un colpo di fulmine, ho seguito il mio compagno (di cui ho subito e a volte mal tollerato l’allenamento giorno dopo giorno per mesi) in due gare e sono rimasta folgorata. Per le mille ragioni di cui parla spesso anche lei nel suo blog. Ogni partecipante ha una storia, una gara personale, compie l’impresa. L’aria che si respira lì è unica. Il mare all’alba, l’allestimento della zona cambio, gli sguardi… Mamma mia quegli sguardi! E’ uno sport grandioso, grandioso è allenarsi per quello sport. Grandioso ciò che si diventa grazie ad esso. Io ancora tentenno sulle distanze, sulle tipologie e sui dettagli, ma so che quell’emozione deve essere mia. Nonostante i mille impegni, nonostante l’invalidità. Nonostante tutto. E credo fortissimamente (se è un purista della lingua sono spacciata) che il triathlon vada raccontato a quelli come me. Questo vorrei fare. Aprirò un blog presto, in cui racconterò il mio primo triathlon da mamma, lavoratrice, invalida, folle. Lo racconterò non agli atleti, che delle mie fatiche (fatico anche solo ad interpretare gli  allenamenti) si farebbero, forse, grasse risate, lo vorrei raccontare a tutti gli altri, quelli a cui non importano le distanze, i tecnicismi, i dettagli, ma che quella luce negli occhi la percepirebbero, se la conoscessero. Vorrei raccontare il mare, l’alba, gli eroi di questo sport (all’Elbaman ho avuto l’onore di aiutare due paratleti in zona cambio, un’esperienza incredibile). Volevo raccontarle tutto questo allegandole un bel progetto, magari il link al blog, ma, perdoni, non ho resistito. La seguo, commenterò, condividerò come sempre i suoi articoli. Poi quando sarà pronto le farò conoscere il mio progetto, perché credo che lei possa coglierne lo spirito meglio di altri…