marcoChissà se è più complicato correre la maratona di New York scattando foto con una Leica a collo o poi raccontarle sul palcoscenico di un teatro? Marco Craig, fotografo milanese, non ha dubbi: «Sono in ansia per mercoledì, io nella vita faccio tutt’altro…». Già, perchè mercoledì debutta al Deus ex Machina di Milano con «Do Not cross», uno spettacolo di «photo-telling» che altro non è se non il racconto per immagini e parole della sua inaspettata avventura newiorchese. Nata per caso, come molti progetti che ti portano ad esplorare nuovi mondi. «Io sono appassionato di corsa in montagna- racconta Craig- ma mai avrei pensato di fare una maratona e men che meno a New York. Però due mesi prima un amico di Almostthere, una start up milanese che fa servizi per lo sport, mi ha quasi sfidato chiedendomi di provare a correrla raccontandola con un servizio fotografico. Mi ha “incastrato“ con un progetto che è poi diventato ciò che è diventato». Lavoro quindi. Anche se differente. Marco Craig infatti non è un reporter da strada, il suo mondo sono la fotografia pubblicitaria, i ritratti, gli studi. Però la scintilla è scattata: «L’amore per il mio mestiere, quello per lo sport e l’amicizia- spiega- mi hanno convinto ad accettare una cosa che non avevo assolutamente preparato e a cui non ero pronto sia dal punto dell’allenamento, sia da quello professionale perchè il reportage per me è un altro mondo». L’idea era quella di raccontare New York e la maratona fotografando una città generalmente crudele che per una domenica mattina diventa il tempio del buonismo. Raccontare le emozioni un popolo che cambiano da quartiere a quartiere, l’organizzazione e, più che la gara, i keniani, gli amatori a caccia del tempo ciò che sta attorno alla gara: «Perchè ti senti in un film di Hollywood- racconta Craig- Sei in mezzo a cinquantamila persone ma gli americani hanno la capacità di farti sentire unico e importante, attore protagonista ed eroe…». Così si corre e si scatta. Così con un 28 millimetri che ti lascia sempre dentro alla corsa ma ti permette di non togliere nulla di ciò che sta attorno scatto dopo scatto si mettono insieme duecento immagini che poi diventano le trenta che mercoledì sera saranno raccontate a teatro e anche in un libro: «Sì lo so non sono molte ma io non sono uno che scatta a raffica- spiega Craig- Anzi, al’inizio, avevo anche pensato di usare per questo progetto la mia vecchia Nikon a pellicola ma poi non sapevo dove mettere i 40 rulli…Così mi sono messo al collo la Leica classica dei reporter che oggi è anche digitale. Una macchina agile che mi permetteva di fare foto anche con una mano ma “muscolosa“ quanto serviva per sopportare la mia fatica e il mio sudore..». Si dice che le foto sono le specchio dell’anima ora si dirà anche che le foto parlano: «Anche l’idea di farne uno spettacolo è nata per caso- spiega Craig- Una sera tra amici raccontavo le foto che avevo fatto e mi hanno detto: “guarda che funziona, perchè non fai uno spettacolo?“. Qualche giorno dopo ne ho parlato con Matteo Caccia, che fa storytelling su Radio2 e a teatro, e mercoledì vediamo cosa succede…»

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