gedeAl di là dei premi. Al di là di Alessandro Fabian perfetto con la sua divisa da carabiniere e dell’altro Alessandro (Degasperi) che incornicia un 2015 che lo consacra tra i grandi del triathlon. Al di là  di Anna Maria Mazzetti che conferma l’azzurro è un colore che, anche grazie a lei, va e continuerà ad andare di moda in Europa. Al di là di Dante Armanini che annuncia che per il prossimo triathlon di Bardolino ci sarà addirittura un soppalco in zona cambio per mettere più bici e  soddisfare una richiesta di iscrizioni che significa più di qualcosa.  Al di là di Michele Ferrarin, di Simone Baldini, di  Daniele Arcari, Luca de Luca, Giovanna Rossi, di tutti quelli che hanno meritato un premio e di chi l’anno scorso nel triathlon ha lasciato un segno. Al di là di tutte le gare vecchie e nuove, di Stoneman e di Icon dove quest’anno nuotare, correre e pedalare diventerà un po’ più estremo. Al di là di un Ironman che non ci sarà e resterà mezzo a Pescara in attesa magari di allungarsi e di un altro che all’Elba c’è ormai da 12 anni, di un Challenge che a Rimini è una certezza e che a Venezia sarà una nuova avventura. Al di là di una Sardegna che da Chia Laguna al Forte Village  è sempre più terra di triatleti.  Al di là di un Galà come al solito debordante ma che resta l’occasione perfetta per fare il punto di una stagione e per  riempire la  sala Testori del palazzo della regione Lombardia, ciò che resterà della quarta edizione  organizzata da Dario Nardone è un messaggio di speranza.  Un messaggio che vola alto e non rigurda solo il triathlon ma tutto o sport e forse ancora di più. Non viene dal cielo ma dall’esperienza più che mai terrena di Luca Pancalli, Presidente nazionale del Comitato Italiano Paralimpico che ieri sera ha praticamente aperto la serata strappando applausi e attenzione. Pancalli,  pentatleta che nell’1981 cadendo in gara da cavallo ha perso l’uso delle gambe per una frattura delle vertebre cervicali, è stato il paratleta più medagliato dell’era moderna e poi uno dei nostri migliori dirigenti sportivi. Averne così.  Tanto per capire è stato presidente della Federazione Gioco Calcio sulla poltrona che oggi occupa Carlo Tavecchio  passato alle cronache per le battute su ” lesbiche” e ” banane” . Dando retta al buonsenso e all’intelligenza e non alle logiche di potere Pancalli  ebbe il coraggio di sospendere il campionato quando nel 2007 durante il derby palermo-Catania fu ucciso dagli ultrà l’ispettore Filippo Raciti.  Mai successo, forse. Avrebbe cambiato parecchie cose e infatti non è durato, si è dimesso o si è dovuto dimettere. Ma è tante altre cose ancora. E’ tra i promotori della Città dello sport paralimpico un impianto modello a Roma  dedicato ai disabili  e pochi anni fa  è stato insignito dal Comitato internazionale Paralimpico del ” Paralympic Order” , il massimo ed esclusivo riconoscimento per chi nella vita si sia particolarmente prodigato per lo sviluppo del movimento.  Si potrebbe continuare, ma non serve. Pancalli ha un altro passo e per rendersene conto basta ascoltarlo per trenta secondi. Anche ieri sera. “Siete una grande famiglia e si vede- ha detto alla platea- ma l’unica medaglia mondiale che avete è quella paralimpica di Michele Ferrarin…”. Qualcosa vuol dire. Qualcosa significa. “E’ questo il messaggio che il triathlon, ma anche tutti gli altri sport paralimpici,  sono capaci di dare- ha continuato Pancalli-  Discipline dove gli atleti fanno cose fantastiche e compiono gesti eccezionali ma che in realtà sono molto di più. Sono il segnale a tutte quelle persone che soffrono negli ospedali, che hanno perso l’uso degli arti o che hanno subito una amputazione che la vita non è finita lì. Che continua. Che si può ricominciare e che ci si può tornare a divertire….”.  Al di là di un libro che racconta la sua avventura: “Non sono qui per questo e non faccio promozione perchè non l’ho scritto per venderlo. Erano cose che dovevo dire…”