Domenica si corre la  Roubaix. Sole, pioggia o vento.  Comunque vada da Compiegne al Velodrome sarà dura come sempre. Come solo questa corsa che tutti definiscono “monumento” insieme col Lombardia, il Fiandre, la Liegi e la Sanremo sa essere.  Una storia lunga 257 chilometri e mezzo che domani si ripete come un rito, come un racconto che non si interrompe mai che si prende solo una pausa. Poi ricomincia ed è la solita magia, con lo stesso fascino, con le stesse pietre, con gli stessi tifosi che una volta erano ragazzini e ora ci portano i figli, con i settori numerati come se si pedalasse nelle sale di un museo, con le stesse case basse, con gli stessi colori e con lo stesso cielo basso, con un mondo davanti alla tv,  con le solite facce stravolte e sporche di fango, con le stesse smorfie, con la stessa fatica. Però forse questa è l’unica corsa in cui le facce contano meno. Chiunque arrivi, chiunque vinca, chiunque abbia la fortuna e l’ onore di alzare le braccia sul traguardo di quel velodromo si stampa nella gloria. E diventa un uomo di Roubaix. Uno dei tanti ma unico. Speciale. Perchè quello degli eroi di Roubaix è il circolo più esclusivo del mondo. Un’enclave che va oltre il tempo. Basta una volta. Due sono tante, oltre diventa mito. E noi ci siamo là in mezzo. Inutile far nomi chi ama questo sport sa, conosce, ricorda.  Tutto ciò che della Roubaix si deve raccontare è stato già scritto. Chilometri di battaglia, di gioie immense, delusioni terribili. Di cadute, di dolore e di pianti. Tutto ciò che della Roubaix rimane è la sua storia scritta nella polvere o nel fango.