Maratona, l’ultima sfida
Correre una maratona in meno di due ore. Ci sono record nello sport che sono più record di altri. Limiti che appaiono invalicabili, punti fermi oltre i quali non sembra umanamente possibile andare. E le due ore di corsa in una maratona, in quei 42 chilometri e 195 metri che sono il mito dell’atletica, sono stati da sempre un punto fermo. Per abbattere quel record si è sempre detto che sarebbe servito un atleta bionico, costruito in laboratorio. Altrimenti, seguendo le naturali logiche dell’evoluzione, si doveva attendere. Almeno fino al 2030 secondo Francois Perronet e Guy Thibaut, i due ricercatori dell’università canadese di Montreal che hanno elaborato un modello matematico sull’incremento delle prestazioni umane nella corsa analizzando metabolismi energetici, aerobici, anaerobici, potenze, capacita di sostenere lo sforzo. Insomma, tutto. Quasi tutto, perchè i due studiosi non hanno tenuto in conto della variabile commerciale, degli sponsor, pronti ad investire parecchi denari per abbattere un «muro» che porta gloria ma anche vendite e guadagni. Fatte le dovute proporzioni, per una azienda sportiva correre una maratona sotto le due ore è un po’ come per un’agenzia spaziale mettere per prima il piede su Marte. E allora si investe, si studia, si creano staff che si occupano di ogni dettaglio utile per limare secondi e millesimi e i tempi si accorciano. Così, con 13 anni di anticipo rispetto alle previsioni dei due ricercatori canadesi, la Nike ha annunciato che nel week end dal 5 al 7 maggio sulla pista dell’Autodromo di Monza proverà ad infrangere il muro delle due ore. A cambiare la storia. È tutto calcolato. Gli atleti africani Eliud Kipchoge, Zersenay Tadese e Lelisa Desisa, tre fuoriclasse che in una squadra di calcio valgono un tridente d’attacco con Messi, Ronaldo e Higuain, è da più di un anno che si allenano per questo. Test su test, prove di materiali, allenamenti studiati ed anche uno staff di psicologici al loro fianco per non fallire. Poco più di un mese fa, sempre in pista a Monza, hanno provato un «warm up» come i bolidi di Formula Uno sulla distanza della mezza maratona, 21 chilometri volati via in 59 minuti scarsi. La strada è quella. Ma, per farli andare più forte gli hanno messo anche gli alettoni, un paio di placche adesive ai polpacci per guadagnare tutti i centesimi e i millesimi che servono. Perchè per andare sotto le due ore in maratona serve tutto ciò che si può inventare. E allora pantaloncini a compressione praticamente cuciti addosso, canotte che sembrano una seconda pelle, scarpe con una soletta in carbonio che più performante non si può. Cibo, bevande, sonno e allenamenti tutto sotto il più completo e assoluto controllo di medici e ingegneri. È la nuova frontiera dello sport «esatto». Non ci sono più le strade, gli avversari, la pioggia, il freddo o una giornata storta. Si corre in pista seguendo le previsioni di un algoritmo o di un programma che prevede quali saranno le condizioni perfette per la madre di tutte le prestazioni. E quello della Nike è un progetto che ha una fotocopia, la sfida di un altro colosso industriale come Adidas che su questa scommessa ha investito tanto quanto gli altri. Sfida che va oltre la sfida dove lo sport cede il passo al business, la poesia alle regole del marketing. Si prova a sgretolare un muro che non è solo un dato cronometrico ma la storia di uno sport, una leggenda scritta di secondo in secondo, di centimetro in centimetro. Un muro che oggi vacilla forse in un momento sbagliato, perchè con tutti i sospetti, gli intrighi e le denunce che hanno offuscato l’anno olimpico forse l’atletica e lo sport avrebbero più bisogno di un passo indietro che non di un salto così audace in avanti. Ma nella corsa, così come nelle logiche commerciali, arrivar primi conta. E allora l’atletica scende in pista, ma non la sua, per un sol giorno su un percorso senza salite, senza curve , senza nulla che possa rallentare un record che pare più mediatico che sportivo e che non potrà essere omologata dalla Iaaf. Comunque vada la maratona resta. Resta una sfida da eroi, predestinati del Mito, capaci di conquistarsi la benevolenza degli Dei con imprese di straordinaria e solitaria fatica. Così era nell’antichità e così è sempre stato. E forse così dev’essere.