Rimini, il Challenge e una foto magica
A Rimini, quando c’è il Challenge un anno piove e l’altro c’è il sole. Quest’anno pioveva. Ha piovuto, ha smesso, ha ripreso, ha smesso di nuovo, ha ripreso ancora. Senza tregua. Ma a Rimini il meteo non conta. Così ti svegli una mattina di maggio e sembra febbraio anche se c’è il sole. Con il cielo che non promette nulla, perchè prima di un 70.3 le promesse è meglio non farle, con l’asfalto ancora bagnato dall’acqua che è venuta giù fino all’alba, con i camerieri che aprono i bar per le colazioni stretti nelle giacche a vento. E cosi il solo pensare che tra un paio di ore ci si deve tuffare in un mare dove da lontano vedi solo la schiuma bianca delle onde fa salire l’ansia. Fa salire la pressione di chi sta per partire. Perfetta per creare quell’attesa che monta che prende un po’ tutti prima di un via. Magia delle gare. Magia di un mondo che non ha età. Però oggi c’è anche il vento. Tanto vento. Che inchioda le bici sul lungomare, che fa alzare le onde, che nasconde le boe…Vento freddo come non te l’aspetti. E così si comincia, con migliaia di uomini e donne stretti nelle mute che sembrano più rondini impazzite, con l’acqua che diventa schiuma e che sa di sale quando capita ( e capita) di mandarla giù. E si capisce subito che il quinto Challenge, orgoglio di una Romagna ormai sempre più patria di triatleti e non solo di ciclisti, non sarà una passeggiata. L’onorevole Davide Caparini, deputato della Lega Nord, ma soprattutto triatleta e soprattutto ingegnere detta la tattica per arrivare alla prima boa. Partire larghi, larghissimi, perchè se si ipotizza un triangolo il lato più corto è il cateto e non l’ipotenusa. Geometria applicata al triathlon. Detto fatto. E anche questo è’ un po’ il bello di Rimini che tutti immaginano più luogo di relax che di fatica. Più da giochi in spiaggia dove i bicchierini si rovesciano in testa per vincere l’aperitivo di mezzogiorno che non per sciacquarsi via il sudore. Più da creme solari che da vaselina da mettere sul collo e sulle braccia prima entrare in acqua. Ci fosse ancora Federico Fellini sul Challenge farebbe un film. Più strana che Dolce la vita. Difficile da spiegare a molti che applaudono incuriositi e forse senza ben capire perchè, ma soprattutto ai nuovi turisti russi che escono dagli hotel e si ritrovano a camminare fianco a fianco a “marziani” in body , con caschi a forma di siluro che camminano a piedi nudi, spingono bici che sembrano motorini e come tante formichine puntano verso un una tana fatta di transenne. Facce da cinematografo, di gente che scruta il mare. Facce da campioni come quella di Giulio Molinari carabiniere, e nuovo vanto azzurro del triathlon lungo, che infatti vince e fa il bis come lo scorso anno. Come la tedesca Anja Beranek, imprendibile, al comando dall’inizio alla fine. Come come Davide Giardini italiano del Colorado, professionista da poco ma già trai i primi anche se oggi appiedato e attardato da una foratura al 30mo chilometro. Come Alessandro Degasperi che è sempre lì con i primi ma forse osa un po’ troppo nella corsa e paga dazio. Come Massimo Cigana, sempre presente, stesso numero di Chia e infatti lascia quello sul casco. Come Sara Dossena, che in bici deve difendersi e arriva ottava in zona cambio, poi dal cilindro tira fuori una mezza come solo lei sa fare e sale sul podio. Correrà la maratona di New York a novembre e bisognerà tenerla d’occhio. Come tutti e gli altri 1300 un’onda impressionante, uno tsunami di passione che muove questo sport. E tutti scrutano il cielo quasi dovessero partire per un viaggio senza certezze. Facce rassicuranti come quelle di Alessandro Alessandri, il race director sta scritto inglese sul libro di gara, ma che qui in Romagna significa “il macchinista” che tutto vede e tutto fa in un’ organizzazione che ormai non ha quasi sbavature e che catechizza tutti spiegando cos’è cambiato nel nuovo percorso. Facce concentrate di gente che nel romanzo dello sport meriterebbe pagine più importanti per ciò che fa, per la fatica che fa, per i gesti che compie. Un romanzo che come ripete sempre Daniel Fontana, che oggi qui era in borghese e portava a spasso il suo bellissimo cane, a volte può anche diventare un film horror. Ma non è il caso. Non in Romagna. Rimini è uno scrigno che regala emozioni a tutti. Così anche chi sa che arriverà al traguardo quando per tanti è già tempo tornare a casa, si tuffa e comincia a scrivere la sua giornata di avventura. Che non gli toglie nessuno. Gente che va e gente che viene. Il Challenge è un po’ così. Con la Romagna fantastica dell’entroterra, che profuma di ciclismo, di storia, di tradizioni e di buon cibo ma quasi mai finisce sulle cartoline. Ed è un peccato perchè, anche se per tutti non c’è tempo di guardarsi attorno, da Monte Scudo, a Montegrimano al Monte Cerignone questa è una terra dove l’Italia ha tante cose non banali da dire. E cosi il mare che si allontana diventa un ricordo e il presente sono quella novantina di chilometri che chi non ha mai fatto impara a conoscere e chi ci è già passato torna a ricordare. Duri come sempre. Anche la corsa. Non ci sono più i bagni da contare, si va verso il molo, ma cambia poco sullo sfondo di un Grand Hotel che non si vede e non arriva mai e che è lì per farti pentire e a ricordarti che c’è gente che se la gode. Ma forse te la stai godendo più tu…. Con il “cinque” che in molti ti danno, con le stesse facce che incontri e rincontri, con i nomi sui body che provi a leggere per vedere se riconosci qualcuno che hai già sentito nominare. O forse solo per ingannare il tempo e la fatica. Con i pensieri che si tufferebbero in mare, che inseguono i profumi dei ristoranti immaginando una meritata ricompensa finale, che provano a darti un appiglio. Con gli applausi, con i sorrisi, con le mani di un bambino che ti vuole salutare, con la faccia incredula di una signora un po’ avanti con l’eta che potrebbe anche decidere di provarci e con una fettuccia bianca e rossa del Challenge che si gonfia e si piega all’ennesima folata di vento. Già, il vento. E’ maggio ma sembra febbraio…C’è il vento ma alla fine è in poppa. Perchè poi basta una foto “magica” di Marco Bardella a farti dimenticare tutta la fatica…