mimarA diciotto anni una maratona diventa grande. E pensa in grande. Pensa che 20mila iscritti siano un obbiettivo possibile, che un marathon village in Fiera da oltre 5mila metri quadrati sia il giusto biglietto da visita, che  più di un milione di euro raccolti nel charity program dell’anno passato siano un buon punto da cui ripartire. E allora i conti tornano, nel senso che anche una città come Milano dopo 18 anni con la “sua” maratona sotterra, forse per sempre, l’ascia di guerra e impara a conviverci. Non si capisce ancora bene se la ami o la sopporti ma poco cambia. Sembrano passati anni luce da quando sulla circonvallazione tra runner e automobilisti  si veniva alle mani o quando dai balconi qualche fesso lanciava uova sul gruppo che passava. Come ha spiegato Linus a Palazzo Marino nel corso della presentazione della Milano city marathon ” Il fatto che ormai la corsa sia diventata quasi un’abitudine cittadina fa sì che in molte famiglie sempre più spesso ci sia qualcuno, figlio, zio, nipote o cugino che corre. Che che sa cos’è la maratona, che ne ha parlato e che magari è anche iscritto. E più gente corre meno ce n’è che si infuria agli incroci”. Va esattamente così. Ma ci sono voluti anni, variazioni di tracciati, limature di incroci troppo trafficati,  strategici nelle domeniche mattine di una città che solo in questi ultimi anni sta imparando a non muoversi sempre in auto. Ci sono volute riunioni,  sopralluoghi, chilometri e chilometri in Vespa alla ricerca di  passaggi in zone dove il gruppo avrebbe dato il minor fastidio possibile. Così si è corso  ovunque alla ricerca di una terra promessa  dove mai nessuno si sarebbe sognato di andare, tra periferie dimenticate, inceneritori e vialoni solitari mezzi nascosti dalla nebbia.  Diciotto anni alla ricerca di una quadra,  di un punto di incontro, di un compromesso che accontentasse tutti, milanesi imbruttiti, runner pretenziosi, politici opportunisti, amministratori quasi mai coraggiosi e capitani che invece dovevano esserlo per forza. Come Andrea Trabuio direttore presente e paziente a cui è venuta la barba bianca d’asceta in questi diciotto anni di comando.  Ma ora vola alto. Ora il percorso che parte e arriva in Porta Venezia è perfetto. La strada è segnata: “L’obbiettivo tecnico è scendere sotto le due ore e 7 minuti di gara- spiega- Il tracciato è velocissimo e credo si possa fare….” C’era una volta la Milano Marathon che scappava dalla città per non dar fastidio, c’è oggi una Milano marathon che sceglie strade e traiettorie alla caccia di un record. E’ cambiato lo stile. E’ cambiato lo sponsor. Via la maglietta sudata  la maratona è diventa “fashion” con la firma di Armani. Più alla moda, più glamour, più facile da promuovere, da proporre, da “vendere” perchè alla fine anche le emozioni di sport sono un prodotto.  E l’immagine di una maratona che si corre nella città della moda e che ha Armani al suo fianco è un’immagine che da sola può fare il giro del mondo. Ed è poi lo stesso discorso che vale per New York, per Venezia, per Roma che anche quest’anno, purtroppo, si corre nello stesso giorno di Milano, l’8 di aprile.  “Guerra” assurda ed inutile che comunque si combatte anche anche se nessuno sembra volersi mettere l’elmetto, a cominciare dalla Fidal che lascia fare. Chissà poi perchè…