magniPiù ciclista che “fascista”. Il resto è ideologia. E poco conta perchè Fiorenzo Magni è stato soprattutto un corridore e la storia l’ha scritta  pedalando. Così a Monza ci sarà una ciclabile dedicata a lui perchè il suo mito continua e perchè il Leone delle Fiandre in Brianza era di casa. Più di casa sul suo Ghisallo e nel suo Museo,  che a Prato dov’era nato e dove, come capita sempre, profeta non è stato e non sarà.  Monza e il suo sindaco Dario Allevi dicono sì  a un pista col suo nome e cancellano il veto che in Toscana era arrivato dell’Anpi. La storia finisce qui ma è una storia lunga e anche una storia vecchia raccontata dalle foto in bianco e nero del secolo scorso. Da una parte il popolo democristiano e cattolico che portava in palmo di mano  Gino Bartali, dall’altra quello comunista e socialista che si schierava al fianco di fausto Coppi.  Tra i due Fiorenzo Magni più vicino a Salò che alla Resistenza come molti di quelli nati nel 1920, perchè non era semplice in quegli anni fare il contrario. Una storia contorta e mai completamente chiarita che comincia nel ’44 quando nella strage di Valibona restano uccisi tre partigiani.  Magni finisce sotto accusa, c’è un processo dove non si presenta ma dove Alfredo Martini, ciclista ed ex partigiano in un certo senso garantisce per lui: “Fiorenzo è un ciclista mi è sempre parso un’ottima persona…” . Nel 47 viene assolto, torna a correre ma l’etichetta di “fascista” gli resta addosso così dice addio alla Toscana, a Prato alla sua gente.  Che non dimentica, che serba rancore. Che poco tempo fa, quando si tratta di rendere onore ad un campione  di razza che ha vinto tre Giri, tre volte di fila il Fiandre e tre campionati italiani , torna a rispolverare i vecchi fantasmi. E allora val la penda di riavvolgere un nastro che racconta un’altra storia. Quella di un uomo per bene, con l’animo del corridore e col ciclismo nel cuore. Il resto sa di vecchio.