sempC’è il chiosco delle salsicce che strappa i numerini come al supermercato per servire i clienti.  E c’è la coda che invade la pista ciclabile e bisogna zigzagare. Ma non è quello il problema. Per i milanesi che la pausa pranzo la passano correndo al parco Sempione, il tormento sono il profumo della griglia e  le medie bionde che passano sul banco e d’estate diventano la madre di tutte le tentazioni.  Pausa pranzo  per il popolo che lavora significa fermarsi a mangiare. Stop, fine delle trasmissioni. Sedersi, ordinare e consumare, tre bei verbi all’infinito che l’altro popolo, quello dei runner, non conosce nell’esaltazione di un masochismo che, con il sole e con la pioggia, d’inverno e d’estate, li spinge  chissà perchè a flagellarsi. In pausa pranzo Sempione sono tante tribù. Camminatori, telefonisti, lettori, bande di colleghi che se la raccontano, bande di colleghi che parlano male di altri colleghi,  mariti, mogli e amanti. Poi c’è chi corre. Da mezzogiorno alle tre è un viavai di tapascioni  che escono dalle tane. Dagli spogliatoi delle palestre, dai bagni degli uffici, dai bauli delle auto,  da case e cantine. Tanti gruppi di Whattsapp che macinano orari, messaggi e appuntamenti. Giri in senso oraio,  giri al contrario, appuntamenti alla fonatanella, al chiosco dei sudamericani, davanti all’Arco, tempi e chilometri. Ci si ritrova e si va. Tre chilometri e mezzo costeggiando la ringhiera del parco, saltellando su e giù dai marciapiedi, litigando con i ciclisti sulla ciclabile (hanno ragione loro) , variando su sterrati e su qualche strappetto che ci si illude sia una salita,  perchè ognuno ha il suo percorso, come i criceti, ovviamente il migliore dei percorsi possibili.  Ogni giorno lavorativo che si rispetti la pausa pranzo è tutta qui. Castello, Triennale, Arco dellaPace, Arena e si ricomincia. Tre, quattro, cinque,  qualche folle anche sei giri che fanno quasi un mezza. Poi doccia e di nuovo lavoro. E la pausa dov’è? Dov’è il pranzo? Dettagli di un mondo normale che la tribù dei runner cancella come i sensi di colpa che la corsa spazza via. E ogni volta che corro al Sempione chissà perchè mi torna  in mente una canzone di Jovanotti. Quella che parlava della notte dove si vive meglio, dove non si conosce sbadiglio. Dove la città riprende fiato e si trasforma, cambia forma e tutto è più tranquillo e non esiste  esiste traffico e non c’è casino almeno quello brutto, quello che stressa. La gente della notte- cantava Jovanotti- è sempre la stessa, ci si conosce tutti come in un paese,  sempre le stesse facce mese dopo mese. E il giorno cambia leggi e cambia governi e passano le estati e passano gli inverni, la gente della notte sopravvive sempre nascosta nei locali confusa tra le ombre. La gente della notte fa lavori strani,  certi nascono oggi e finiscono domani, baristi, spacciatori, puttane e giornalai, poliziotti, travestiti gente in cerca di guai, ladroni di locali, spogliarelliste, camionisti,  metronotte, ladri e giornalisti…