colinPer il New York Times è «una delle imprese più straordinarie nella storia polare» forse anche più di quella che vide nel 1911 competere nella corsa al Polo Sud il norvegese Roald Amundsen e il britannico Robert Falcon.  L’americano Colin O’Brady, triatleta ed esploratore 33 enne dell’Oregon, ha completato a Santo Stefano la traversata dell’Antartide interamente in solitaria, senza guide né supporto.

Ha sciato per quasi 1500 chilometri tirandosi appreso una «pulka», la slitta da 180 chili con attrezzature e provviste, per più di 54 giorni gelidi nel più freddo, ventoso e remoto continente del pianeta, dall’Oceano Atlantico fino al Pacifico passando per il Polo Sud. Primo a farlo. Primo nella sfida davanti al britannico Louis Rudd, un ex militare di 49 anni, che il 3 novembre era partito con lui dal campo di Union Glacier ma che è arrivato il giorno dopo.

I due hanno seguito strade diverse con lo stesso obiettivo: vedere chi arrivava primo sull’altro lato del continente gelato. Imprese da eroi e da folli. Imprese spesso oltre logica e buonsenso, difficili anche solo da immaginare. Durante la colazione di Natale, O’Brady ha deciso di coprire gli ultimi 125 chilometri in una volta sola: «Mentre facevo bollire l’acqua per il mio porridge, è sorta una domanda quasi impossibile – ha scritto su Instagram – Posso fare tutta una tirata e farla tutta in una volta fino alla fine? Mentre mi stavo allacciando gli scarponi, questo piano impossibile era diventato un obiettivo concreto». E così è stato. Trentadue ore e 30 minuti dopo, senza dormire, è arrivato a destinazione spuntando dai monti Transartartici sulla barriera di Ross.

«Ho preparato la mia mente, il mio corpo e il mio spirito per qualcosa che mi dicevano fosse impossibile – racconta- e per dimostrare che niente in realtà lo è. Questo progetto è dedicato a chiunque pensi che i suoi sogni siano impossibili. Per renderli possibili bisogna solo fare il primo passo…». Studi di economia a Yale, un quarto della superficie del corpo gravemente ustionato in un incidente in Thailandia dieci anni fa, O’Brady si era sentito dire dai medici che non avrebbe mai più potuto camminare normalmente. E invece ha ricominciato con tenacia a farlo. Poi ha riprese ad allenarsi, a correre e a sciare. Ma soprattutto a pensare in grande. Questo infatti non è al suo primo record. Nel 2016, ha scalato le vette più alte dei sette continenti, tra cui l’Everest, in 132 giorni. Ma la traversata del Polo è la sfida di tutte le sfide.

Qui ci hanno provato in molti e spesso con finali tragici. Nel 1997, l’esploratore norvegese Borge Ousland sui era avventurato l’Antartide da solo ma con l’aiuto di un «parafoil», un aquilone simile a quelli usati nel parapendio che lo spingeva nel suo cammino. Molti altri si sono dovuti arrendere. Come il tenente colonnello britannico Henry Worsley che morì due anni fa dopo essere stato soccorso tra i ghiacci in cui si era smarrito. Proprio a lui O’Brady ha dedicato l’impresa: «Ho pensato tanto a Henry – raccontava in uno dei suoi post – Ho con me la sua bandiera con lo stemma di famiglia che Joanna mi ha così gentilmente prestato, quella che lui ha portato con sé per tutto il viaggio, e per me è davvero importante che stavolta arrivi fino alla fine, che lo stemma completi il percorso per intero. E lo farà…».