versa«Dedicato a tutti i bambini che mi hanno regalato un sorriso e che, a volte, hanno visto in me un punto di riferimento. Grazie a loro ho capito che la disabilità sta solo negli occhi di chi guarda…». Giusy Versace è tante cose insieme: atleta, ballerina, scrittrice, ambasciatrice nel mondo della Grande Milano, deputata di Forza Italia ed ora anche «WonderGiusy» protagonista ed autrice del nuovo libro edito da Mondadori presentato poche sere fa  alla Fondazione Stelline. Una «novella» che narra la storia di Hater, un disabile rancoroso che dopo aver perso il braccio decide di prendersela col mondo ed è sempre pronto a sabotare le «missioni sorriso» di WonderGiusy e Chris, un bimbo emarginato dai suoi amici da quando è costretto su una sedia a rotelle. «L’ho scritto per educare alla speranza e al coraggio – spiega – per fa capire che anche se si resta senza le gambe la vita continua, che non bisogna rimpiangere ciò che si è perso ma ciò che è rimasto. E ricominciare».  E lo sport in questo senso è la migliore palestra anche senza necessariamente arrivare ad un’olimpiade, anzi due come è capitato alla Versace presente sia ai Giochi di Londra nel 2012, sia a quelli di Rio tre anni fa: «Lo sport paralimpico non è un capriccio- racconta- per molti ragazzi disabili è l’unico modo per uscire di casa, per ricominciare a fare i conti con una vita che ha preso un’altra direzione. Per me dopo lo schianto è stato così. E io all’inizio in pista ero una “papera” poi grazie al mio allenatore Andrea Giannini ho imparato a muovermi, a correre e poi a vincere. E si impara anche a cavarsela nella vita di tutti giorni che, nonostante i passi in avanti, per chi è su una carrozzina resta complicata. Basta,ad esempio, pensare quanto può diventare un problema se ti scappa la pipì nel centro storico di una città…».  L’idea del libro gli l’ha data un bimbo che, mentre si allenava al campo di atletica a Vigevano, le ha chiesto dove fosse il telecomando per far funzionare così bene le protesi e correre così veloce: «Me le sono tolte, gliele ho messe in mano e abbiamo cominciato a chiacchierare- ricorda- Così ho deciso di scrivere una storia rivolgendomi ai bambini perché sono diretti e senza filtri e se crescono con questa cultura dello sport tra qualche tempo la differenza tra sport “normale” e sport “paralimpico” credo non ci sarà più…».