Che Pasqua è senza la Roubaix…
In queste ore si corre la Roubaix… Si corre lo stesso. Sulle pagine dei giornali, nelle interviste a Francesco Moser, nel ricordo di Franco Ballerini, nelle vittorie di Fausto e Felice, di monsieur Roger, di Cancellara, Sagan e tutti quelli che ho dimenticato. Tutti passati di qui, tutti con un pietra in tasca. Sole, pioggia o vento, decida ognuno come gli pare ma , comunque andrà, andrà ance oggi come è sempre andata da Compiegne al Velodrome: sarà dura. Magia di una corsa che è la Pasqua laica di ogni appassionato di ciclismo, festa di popolo e di sport santificata in un rito che vale una stagione e spesso una vita. Monumento insieme col Lombardia, con il Fiandre, con la Liegi e la Sanremo. Monumento che , senza mancare di rispetto, però è un po’ più monumento di tutti gli altri. Una storia lunga 257 chilometri e mezzo che è un racconto infinito e che oggi si prende solo una pausa. Poi ricomincerà e sarà la solita magia, con le stesse pietre numerate, con i settori, con gli stessi tifosi che una volta erano ragazzini e ora ci portano i figli, con riverenza e rispetto come se si pedalasse nelle sale di un museo, con le stesse case ordinate che sfilano via inquadrate dagli elicotteri, con gli stessi colori e con lo stesso cielo basso che ti avvicina ai mari del Nord. Con il mondo davanti alla tv, con le solite facce stravolte e sporche di fango, con le stesse smorfie e con la stessa fatica. Però forse questa è l’unica corsa in cui le facce contano meno. Chiunque arrivi, chiunque vinca, chiunque abbia la fortuna e l’ onore di alzare le braccia sul traguardo di quel velodromo si stampa nella gloria. E diventa un uomo di Roubaix. Uno dei tanti ma unico. Speciale. Perchè quello degli eroi di Roubaix è il circolo più esclusivo del mondo. Un’enclave che va oltre il tempo. Basta una volta. Due sono tante, oltre diventa mito. E noi ci siamo là in mezzo. Inutile far nomi chi ama questo sport sa, conosce, ricorda. Tutto ciò che della Roubaix si deve raccontare è stato già scritto. Chilometri di battaglia, di gioie immense, delusioni terribili. Di cadute, di dolore e di pianti. Tutto ciò che della Roubaix rimane è la sua storia scritta nella polvere o nel fango, sulle pietre che hanno creato il mito dell’inferno del Nord, di una corsa unica e impronosticabile con l’incubo della foresta di Arenberg, di Mons en Pevele e naturalmente col Carrefour de l’Arbre. In tutto fanno 29 settori, quasi sessanta chilometri di cubetti che sono davvero la strada verso la gloria. Qualche anno fa ho avuto l’onore di visitare il museo privato di Ernesto Colnago. In fondo a sinistra ci sono ancora, conservate come una reliquia, le bici dei trionfi di Ballerini. Le tiene lì, con il numero attaccato e sporche di fango: “Non le ho mai lavate, non le ho mai spostate e non le ho mai toccate- mi aveva raccontato- Voglio che restino così….”. La prima vittoria della Mapei con le bici in carbonio fu quella del 9 aprile 1995 e la vigilia per Colnago fu una notte insonne perchè il patron Giorgio Squinzi lo chiamò in piena notte perchè aveva paura che i telai si rompessero e voleva correre con le bici in alluminio: “Mi sono messo davanti alla tv e ho pregato- ricorda Colnago- Poi quando da una nuvola di polvere ho visto uscire Ballerini ho ringraziato il signore…”. Oggi si corre lo stesso. E’ una Pasqua strana…passerà. La Roubaix invece è lì, resta. E non ce la tocca nessuno.