“Non so proprio cosa mi stia succedendo, non ho risposte e questa cosa mi fa soffrire…”. Non valgono i numeri, non solo è un fatto di dati e statistiche. La crisi di Fabio Aru che si ritira dal Tour è tutta nei suoi occhi, gli si legge dentro, nell’anima, che c’è qualcosa che non va. Non è un brocco, non lo è mai stato.  Anzi. La voglia è ancora di pensarlo un campione. Un fuoriclasse, anche se le sue ultime stagioni sono state assolutamente da dimenticare. Alti e bassi, più bassi in verità.  E così  è tornato promessa. Posizione scomoda perchè è un attimo che qualcuno cominci a dubitare, a chiedere (a richiedere) conferme, a domandarsi se il il giovane “eroe” sardo di Villacidro è poi davvero ciò che negli anni passati ha fatto vedere alla Vuelta di Spagna, al Giro e quando indossò la maglia gialla al Tour o quella Tricolore. E’ un attimo fare i conti, insultare, deridere, diventare sgradevoli, prendersi confidenze che non si hanno ma i social purtroppo autorizzano nel nome di una familiarità virtuale che si nasconde dietro l’ignoranza e l’anonimato.  E’ un attimo finire nel tritacarne.  Bravissimi tutti a salire sul carro di quelli che l’avevano detto, che sapevano tutto, che  da noi si fa presto  a dar sfogo a quella che, a conti fatti, spesso è solo invidia per ciò che la maggiorparte di noi non sa fare.  Gli esami non finiscono mai e il ciclismo non sfugge. E ci vuol poco che il vento cambi, come quando pedali che ti sembra di volare,  che le gambe girano a meraviglia ma poi ti ritrovi all’improvviso, svoltato l’angolo, con l’aria in faccia che ti rallenta e ti imbolsisce e non sai chi ringraziare. Così negli ultimi tempi per Aru pedalare è diventato un calvario perchè ce l’ha scritto in faccia che qualcosa non va, che non va più, che non è questo il suo ciclismo, quello in cui ci ha fatto sperare e anche un po’ abituato.  “Parlando col medico della squadra, gli dicevo che avevo sensazioni crescenti, e che ero fiducioso per il proseguo della corsa- ha spiegato ieri dopo il suo ritiro al Tour- Ora sono qua, a terra, senza capirne il motivo. Non mi merito questo perché sono sempre stato un professionista esemplare e il mio impegno massimo. Non si merita questo neanche la squadra e soffro tantissimo nel non poter dare il mio contributo come programmato. Il mio futuro? Beh adesso non ci penso…”. Dovrà chiarirsi. Dovrà chiarire con la dirigenza della squadra e non saranno rose e fiori. Ma questo fa parte del gioco e  soprattutto sono fatti suoi.  Poi deciderà che fare, magari anche di smettere. Il resto, la valangata di fango che gli sta arrivando addosso, invece no. Non se la merita proprio.