Qui e ora. Richard Carapaz sale sul Monte Olimpo e dopo una gara durissima, dopo 234 chilometri,  dopo più di sei ore di fatica, dopo aver scalato  4865 metri di dislivello, dopo aver sudato l’anima, dopo aver staccato anche l’americano Brandon Martin compagno di fuga,  dopo essersi messo alle spalle due fenomeni come Wout Van Aert e Tadej Pogacar si presenta solitario sul rettilineo dell’autodromo Fuji Speedway per prendersi la medaglia che vale di più, quella olimpica, quella che resta per sempre. Hic et nunc perchè l’Olimpiade, anche questa olimpiade tormentata, è la vittoria di tutte le vittorie, è il sogno di ogni atleta, è  l’assoluto che uno si immagina  possa capitargli. E se capita la storia diventa il racconto della vita, diventa la fotografia di un Paese che trattiene il fiato, chiude le serrande e si mette davanti alla tv, si lustra gli occhi e alla fine si dà un pizzicotto sulla guancia perchè non riesce a credere che, dopo Jefferson Perez  nella marcia alle olimpiadi di Atlanta nel ’96,  è arrivato un altro oro.  Qui e ora. La storia  di Richard Carapaz, 28 anni,  comincia  in Ecuador una mattina di tanti anni fa quando suo padre, in una discarica del municipio di El Carmelo nel Canton Tulcan, recupera una biciclettina abbastanza malandata. Però gliela rimette in sesto e gliela regala. Da lì è un attimo ritrovarsi a 15 anni a pedalare nella Carchense Panavial-Courage, squadra di dilettanti della Provincia del Carchi, fianco a fianco con speranze e campioni. Ed è un attimo anche cominciare a vincere  la Vuelta del Guatemala o il titolo Panamericano Under 23. Si comincia sempre così. Qui ed ora anche allora. Ma il tempo fila via veloce e due anni fa, tutto vestito di rosa, Carapaz entra da vincitore nell’Arena di Verona. Il Giro numero 102 è suo.  Un trionfo quasi da  sconosciuto  che arriva dopo una vittoria alla  Vuelta a Navarra e un quarto posto nella Vuelta a Castillo y Leon . Poca cosa perchè  il Giro e il Giro soprattutto in Ecuador dove il ciclismo è lo sport più seguito. Così la vicenda di Carapaz diventa il racconto nazionale, diventano feste, foto, riscatti e sogni che si avverano. Diventa  il podio al Tour di quest’anno e  diventa una medaglia d’oro alle pendici del monte Fuji che non sarà il Monte Olimpo ma ci assomiglia parecchio. Diventa una fiaba con il lieto fine se si pensa che solo un anno fa il campione della Ineos Grenadiers non si poteva neppure allenare e si occupava del bestiame della sua famiglia nella fattoria di Carchi: “Ho lavorato duro per essere qui- dice al traguardo- E’ un momento fantastico per me e ancora non riesco a crederci…”. Avrà tutto il tempo per farlo. Qui e ora è solo il tempo di godersi la gloria.