C’era una volta il Kenia che, con i suoi corridori simili alle gazzelle per velocità ed eleganza, dominava le maratone del mondo. C’era una volta il Kenia colonizzato dai grandi marchi sportivi e dagli organizzatori delle grandi gare che qui venivano a ingaggiare gli atleti per dare la caccia a record e medaglie. E c’era una volta il Kenia che con i suoi campioni da Paul Tergat a Martin Lel, dal compianto Samuel Wanjiiru a Dennis Kimetto ai primatisti di oggi Eliud Kipchoge, Brigid Kosgei e chissà quanti altri ancora ha scritto la storia della sfida più affascinante dell’atletica tenendo alta la bandiera di un Paese che proprio nella corsa ha visto il suo riscatto.

Ma ora c’è un altro Kenia da raccontare.  Un Kenia che continua a correre ma prova a farlo in un’altra direzione. Che prova a far da sé e a trasformare la corsa, che fino a oggi è stata l’unica strada di benessere per tante famiglie, in un’occasione di lavoro e di impresa avviando proprio qui la prima produzione di scarpe da running pensate e realizzate da menti e mani keniane. Harambee, «Tutti insieme». Che è poi il motto nazionale e incarna lo spirito di condivisione di un progetto che va decisamente oltre la corsa. Che è un simbolo di speranza e di ripartenza anche dopo l’incubo della pandemia.

L’avventura parte proprio dalla Rift Valley e non poteva essere altrimenti. Parte dagli altopiani che sono da sempre la palestra a cielo aperto dei campioni e dalla visione di due persone, una donna keniota avvocato di professione e un americano con l’hobby del running, le cui strade a un certo punto si sono incrociate per dar vita a un sogno. Nasce così «Enda Running», il primo marchio di scarpe da running costruite in Kenia che lancia la sua sfida ai grandi colossi dello sport

Sempre colonizzati. «In questi ultimi anni il Kenya è stato quasi colonizzato dal punto di vista sportivo – spiega Navalayo Osembo, CEO di Enda -. I grandi coach vengono qui ogni anno a cercare i giovani talenti della corsa, i brand internazionali sponsorizzano i migliori maratoneti keniani, ma non esiste nel Paese nessuna economia basata sul running. Ci siamo detti che era il momento di crearla». E allora assieme a Weldon Kennedy, un giovane manager specializzato nell’ambito della cooperazione internazionale, Navalayo mette in piedi il progetto Enda che dà un impulso allo sviluppo economico del Paese grazie alla creazione di posti di lavoro, sia direttamente in azienda che nell’indotto, e supporto alle comunità locali attraverso la Enda Community Foundation, visto che una parte del prezzo di acquisto delle scarpe va a sostenere dei progetti educativi in Kenia. I primi segnali sono incoraggianti. Si pensi che alla campagna aderiscono anche due tra le più affermate star di colore di Hollywood, l’attrice keniota Lupita Nyong’o, premio Oscar per 12 anni schiavo, e Winston Duke, il cattivo di Black Panther.

Enda  in lingua swahili significa «Vai!» e il simbolo che campeggia sul logo è la punta di una lancia, adattata proprio dalla bandiera keniana, e che costituisce il vessillo dell’identità nazionale del Paese africano. La prima scarpa a essere realizzata si chiama Iten, che prende il nome dalla cittadina della Rift Valley dove negli ultimi 30 anni sono cresciuti e si sono allenati i più forti maratoneti al mondo. Collocata a 2400 metri sul livello del mare, Iten è la sede della St Patrick’s High School, autentica fabbrica keniana dei campioni della corsa e per i ragazzini kenioti poter andare a Iten è come per i ragazzini italiani aver la possibilità di giocare nelle giovanili della Juventus o del Milan.

La sfida più grande. “Per noi è quella di poter avere l’intera filiera qui in Kenia – spiega Osembo -. Dobbiamo ancora portare qui i materiali per la produzione, e questo ci pone dei limiti in termini numerici rispetto ai grossi brand che fanno tutto in Estremo Oriente. Inoltre, in quest’ultimo anno la pandemia globale ha ulteriormente rallentato i nostri progetti. Lo stop alle grandi manifestazioni sportive ci ha costretti a rivedere molti dei nostri piani. Ma la nostra vocazione è quella dei maratoneti e quindi contiamo di arrivare vittoriosi ai nostri traguardi».

Le scarpe Enda oggi vengono interamente assemblate a Nairobi,
 dove ha sede anche l’ufficio stile. Fin dalle prime versioni sono stati inseriti una serie di sottili elementi culturali che rimandano immediatamente al loro essere made in Kenia: dal ricorso ai tessuti tradizionali sulla linguetta e sulla talloniera, al richiamo ai colori della bandiera nazionale (rosso e verde) sugli occhielli dei lacci alle colorazioni ispirate all’abbigliamento tradizionale delle popolazioni dei Samburu e dei Masai. Inoltre, sulla suola un disegno riproduce fedelmente la mappa topografica della Great Rift Valley.

Uno spirito di avventura che ha contagiato da subito Marco Rocca, l’uomo che vent’anni fa porto in Italia uno dei più noti brand di scarpe da corsa americani e ora ha deciso abbracciare la causa di Enda: «Abbiamo messo in piedi un team italiano molto motivato – spiega -. Finché i DPCM me lo hanno permesso ho girato l’Italia in lungo e in largo per parlare con negozianti e addetti ai lavori. Le Enda sono delle scarpe per chi ama correre e per chi vuole sentirsi parte di un progetto più grande…».