Parti da Valdobbiadene e, senza andare a medie siderali, vieni raggiunto dall’auto del fine gara a sei chilometri dal traguardo, dopo quattro ore e spiccioli  di onesto e gaudente  pedalare. E il risultato è fantastico perchè nel mezzo c’è tutta una corsa chiusa al traffico , senza un’auto che una, senza rumori se non il frusciare delle bici e senza pericoli perchè, grazie ai tanti volontari e grazie agli alpini che qui sono di casa,  è tutto presidiato,  controllato, indicato. C’è una pettorina gialla e una penna nera in ogni punto i cui serve, ci sono transenne, fettucce e birilli bianchi e rossi a chiudere trattorie pericolose, ad evitare intrusioni a far sì he una giornata di sport resti tale e quale. Ben fatto. Così dovrebbe essere sempre: dovrebbe essere la regola ma nel marasma delle granfondo del Belpasese ogni tanto purtroppo sfugge, ma qui è diverso perchè come sottolinea con orgoglio il suo organizzatore Massimo Stefani la Prosecco una granfondo non è. E’ un’altra storia, un’altra narrazione come va tanto di moda dire adesso che parte dal ciclismo per arrivare poi a raccontare luoghi, persone, territorio, tradizioni e la voglia di tornare insieme  scacciando le recenti paure. E’  la festa a pedali che ti aspetti, un viaggio in bici da godere con tutti i sensi. Con la vista, perchè se queste colline sono diventate patrimonio dell’Unesco un motivo ci sarà e basta guardarsi intorno per capirlo.  Con l’olfatto perchè in questa stagione si sente il profumo del mosto in una vendemmia che è un bel via vai di trattori che strabordano di uva e di lavoro sapiente e appassionato. Da godere con il gusto leggendo i menu delle osterie che la domenica qui preparano lo “spiedo” o la “sopa coada” la zuppa di piccione con il pane raffermo. E da godere facendo la fatica che serve perchè l’emozione di pedalare su queste strade tra borghi e vigneti forse  fa dimenticare che non c’è un metro di pianura quindi i muscoli, che hanno ottima memoria,  alla fine poi ti riportano alla realtà… La Prosecco è un brindisi senza fine, il diciottesimo della serie, dove qualcuno “smanetta” ma molti se la godono, dove non si sgomita e non si limano le ruote, dove in un giorno annunciato di pioggia alla fine poi spunta anche il sole. Diventa un “mangia e bevi” che spesso porta la catena sul 39 ma anche un ristoro con il Prosecco e gli scampi freschi, premio più che meritato alla fine della salita di Ca’ del Poggio dove passa anche il Giro ma che sembra più un muro del Fiandre . E si fermano tutti. Mettono i Garmin in pausa, alzano i calici,  e si prendono il tempo che serve. E’ un buon pedalare che porta sotto il Duomo di Valdobbiadene  oltre duemila ciclisti che arrivano da 22 Paesi. Un bel colpo d’occhio che parte con il crescendo  rossiniano del “Nessun dorma” e un areo che passa a volo radente liberando il Tricolore per una bella emozione che coinvolge tutti e per un record destinato a crescere perchè tra chi pedala il passa-parola vale più del marketing e da queste parti la bici si sposa a perfezione con un turismo lento e rispettoso che ti prende i tempi cronometrati solo su tre salite. Ed è una “geniata” perchè così la gente non si scanna e non si prende troppo su serio. In gruppo ci sono anche tante facce note. C’è “El Diablo”  Claudio Chiappucci, il re della Milano-Sanremo 1991, che liquida la pratica con nonchalance perchè gli anni passano ma la classe resta.  Marco Saligari che il Giro lo segue in moto per la Rai e qui invece pedala. Ci sono tanti nomi e cognomi importanti che hanno fatto conoscere il Veneto al mondo che si leggono sulla schiena scritti sui pettorali che raccontano di una passione che da queste parti porta cittadine e paesi a fermarsi per una mezza giornata senza far troppe storie. Piano o forte alla fine pedalano tutti.  Pedalano, faticano, si guardano intorno, si fermano, brindano e ripartono. Qui va così. E la bici diventa l’alibi perfetto per regalarsi una domenica da incorniciare.