L’Ernesto fa novanta. Artigiano, artista, innovatore ma soprattutto imprenditore di quelli che tengono insieme la storia industriale di questo paese. Nasce contadino, diventa meccanico di biciclette, fonda una officina che negli anni diventa il più prestigioso e blasonato marchio di biciclette al mondo. Tutto ciò con la quinta elementare che una volta contava. Ernesto Colnago compie novant’anni. Cavaliere del lavoro, primo a entrare in azienda e ultimo a uscire, talento passione, voglia di lavorare e di rischiare. E’ una vita di ciclismo. Una vita che sembra una favola e forse lo è. L’Ernesto con l’articolo davanti, come dicono dalle sue parti, come dicono in Brianza, terra di mobili e «danè», terra dove si lavora sodo, pare quasi non conoscerlo il tempo e stamattina a rendergli onore all’Università Bocconi erano in tanti a cominciare da quel Beppe Saronni che è stato sempre un suo pupillo.  C’erano il rettore Gianmario Verona. C’era Tito Boeri e cerano tra le centinaia di persone arrivate a salutarlo: il presidente della Fci Cordiano Dagnoni, Gianni Bugno, Gianni Motta, Fabio Capello, Beppe Marotta, Norma Gimondi, Marino Vigna, Michele Dancelli, Davide Boifava, Mauro Vegni, Dino Zandegù.  “In lui vivono due persone: l’artigiano in grado di unire il bello all’utile, ma anche il fanciullo entusiasta sempre con gli occhi che gli si illuminano…” lo ha salutato intervenendo in collegamento il ministro per l’Innovazione tecnologica e la transizione digitale Vittorio Colao, anche lui ciclista appassionato. Non basta. Non si riesce a raccontare con una frase chi è Ernesto Colnago e cosa rappresenta per il ciclismo e per il Paese questo ” Drake” delle due ruote. Come possa la sua avventura cominciata in una piccola officina di 25 metri quadrati al numero 10 di via Garibaldi a Cambiago  aver inciso così nella nostra storia d’impresa. A volte il destino ce l’hai scritto in fronte o nel cuore. L’Antonio e l’Elvira, i suoi genitori, volevano che continuasse a fare il contadino perché la terra c’era, rendeva e un paio di braccia in più facevano comodo, ma l’Ernesto lo sapeva che sarebbe finita come è finita. La sua storia se l’è scritta tutta da solo e oggi quel bugigattolo «5×5» dove metteva i raggi alle ruote è in una fabbrica modello che produce biciclette che girano il mondo e sono uno dei biglietti da visita del «made in Italy». Novant’anni anni guardando sempre avanti. Novant’anni e non sentirli. Novant’anni che raccontano la sua sua vita, sua moglie Vincenzina scomparsa qualche tempo fa e che raccontano l’epopea del  ciclismo tutto, non solo azzurro.  Novant’anni che sono la storia, il presente e anche il futuro delle due ruote da corsa. Novant’anni con una “lezione” nell’università dei manager che spiega meglio di tutto come  le lauree a volte si guadagnano sul campo perchè come dice sempre “ho passato la vita a costruire biciclette e quello so fare…”. Ma vuoi mettere?   Novant’anni tra telai, pedivelle, carbonio, cambi elettronici e adesso freni a disco perchè bisogna sempre guardare avanti. Va così. Va così per chi basta parlargli cinque minuti e capisci che ha un passo in più, che ragiona veloce, che vede le curve prima. Va così per chi è abituato a rimboccarsi le maniche fin da piccolo, quando per imparare il mestiere fu spedito  nell’officina del «Dante Fumagalli» in cambio di due chili di farina alla settimana.  Sembra ieri. Come le prime corse e le prime vittorie, la prima sponsorizzazione della storia nel 1954 con la Crema Nivea. La prima in bici da dilettante con in premio un lussuoso abito di «gabardin», la prima corsa in macchina nel 1970 come meccanico con la bici in spalla pronta da dare a Michele Dancelli che taglia a braccia alzate il traguardo della Milano-Sanremo.  Una vita scritta tra Giri d’Italia,  mondiali e Tour. Tra bici  pensate e costruite con il Drake Enzo Ferrari, quando il carbonio era roba da Formula Uno. Tra bici pensate, costruite e donate a papa Woityla. Tra bici pensate e costruite per la Parigi -Robaix incrociando le dita perche per vincere ci vuole coraggio, un po’ di fortuna e campioni come Franco Ballerini. Una vita che potrebbe tutta finire in un museo e che un po’ ci è anche finita perchè nella “bottega” di Cambiago tra officine, sale progetti e computer c’è anche un piano dove sono raccolte e conservate tutte le  Colnago che hanno scritto la storia.  Nel suo ufficio tra targhe coppe e foto l’unica cosa che manca è il computer, «Perché sum minga bun…». A  lui, all’Ernesto, per fare le rivoluzioni bastano ancora un foglio di carta e una penna.  Ottomila vittorie con le sue bici  usate da oltre un centinaio di team professionistici. Ottomila vittorie, il record dell’ora di Mercx nel 1972 a Città del Messico, campioni come Magni, Nencini, Motta, Saronni, Bugno, Freire, Museeuw, Rominger, Tonkov, Zabel e Petacchi. E come dice l’ Ernesto «Ogni bici ha una sua storia». La sua. Che a 90 anni ti lascia ancora senza fiato.