Un anziano di 86anni travolto a Savona; un ragazzo di 16 anni investito a Mantova; un uomo di 52 anni falciato dal figlio in fuga dopo aver rubato un Suv in Brianza; tre amatori uccisi a Grosseto da un anziano ( lui pure deceduto) che per un infarto perde il controllo della sua auto. Basta così, ma si potrebbe continuare. E’ un bollettino di guerra quello delle ultime due settimane per i ciclisti. Altrochè mobilità dolce, città ciclabili, vacanza in bici. Altrochè  Tour de France… Il ciclismo, le bici, i ciclisti andrebbero difesi. Sono la parte più debole (debolissima) di una mobilità a quattroruote imperante e preponderante. Non è una colpa di chi va in auto, è la nostra storia, la mancanza assoluta di una cultura della tolleranza e del rispetto. I ciclisti sono irrispettosi e prepotenti? Vero, qualcuno sì, ma molti assolutamente no e hanno il diritto di pedalare senza rischiare la pelle. Oggi ancora non va così. Basta uscire in strada una domenica mattina per capire che aria tira. E’ un attimo discutere; è sempre un attimo beccarsi gli insulti; è ancora sempre un attimo che finisca male. Meglio stare alla larga dalle strade anche se non è giusto perchè, se la mobilità è un diritto, lo è per tutti e la “manfrina” delle tasse di circolazione che paga solo chi si muove a motore è, appunto solo una “manfrina”. Quindi? Quindi qualcosa bisogna fare. Bisogna parlarne, informare, discutere, legiferare,  tracciare linee gialle di rispetto sulle carreggiate, chiudere ogni tanto qualche passo. Tutto vale, tutto fa. Anche quegli “inutili” cartelli gialli che avvisano che ci sono strade frequentate da ciclisti, che quando si superano bisogna tenere la distanza di un metro e mezzo. Non è vero che non servono a nulla.  Sono qualcosa in più di un’indicazione: c’è la voglia di far incontrare mondi lontani e ostili, c’è il seme di una cultura ciclistica che si fa sulla strada dove oggi troppo spesso ancora si “combatte” una guerra senza senso.   Su quei cartelli gialli c’è scritto di “accendere il cervello”, c’è  l’ appello alle associazioni dei ciclisti, alle società sportive, ai giornalisti, ai privati cittadini a sostenere la ciclabilità dove si decide: nei consigli comunali, nei dibattiti pubblici, negli incontri, anche nelle riunioni di condominio. Si cominci a pretendere che amministrazioni, sindaci, governatori si occupino di mettere a posto strade che fanno davvero pena, segnaletica, incroci. E non è detto che ci si debba battere solo per per le piste ciclabili, non servono battaglie talebane, non servono colpi di mano ma un chiaro confronto che spieghi come la mobilità sia tolleranza e rispetto di regole che valgono per chi va in auto ma anche per chi pedala. Si cominci a chiedere agli allenatori che portano i ragazzi ad allenarsi in strada di spiegar loro cosa devono fare, come si devono comportare, che siano educati e prudenti. Regole chiare. Si cominci  mettere un freno a quelle  Granfondo (non tutte per fortuna) che sono diventate sfide assurde per “incistati”. Si cominci a regalare qualche prima pagina dei giornali sportivi allo spettacolo del Tour de France, come fanno i francesi ( e non solo i francesi)  anzichè al “fantasmagorico” calcio mercato d’agosto o all’appassionante  telenovela dell’addio tra Totti e Illary. Si cominci.