In bici sulla Cisa alla ricerca del tempo che fu
Pedalando da La Spezia verso Aulla e poi Pontremoli, il Passo della Cisa sembra non finire mai. E quando uno arriva su e trova una fontana fantastica con l’acqua gelata anche a luglio pensa di aver posto fine al proprio tormento. Pensa che il più sia fatto, di tirare il fiato e che si cominci a scendere. Invece no perchè, prima di “tuffarsi” definitivamente verso Berceto e Fornovo, si resta per chilometri in costa in quel pedalare che i ciclisti chiamano “mangia e bevi” e che nasconde tutte le insidie di un su e giù dove per le gambe non c’è pace. Il Passo della Cisa non finisce mai. E’ un lento e piacevole viaggio alla ricerca del tempo che fu che porta qualche decina di metri oltre i mille, tra le montagne che fanno da spartiacque tra Toscana, Liguria, Lunigiana e appennino parmense con una storia straordinaria che vale tutti i suoi chilometri e che raccoglie l’eredità romana e medievale della via Francigena progettata da Napoleone e conclusa da Maria Luigia di Parma. Ora “La Cisa”, come la chiamano tutti, è una via solitaria e un po’ dismessa che mostra tutti i segni del suo tempo una volta splendente e racconta, tornante dopo tornante, la vicenda della Statale 62, una via del Mare per chi dalla Romagna andava al Tirreno. Una storia importante, di progresso, di boom economico con famiglie intere che scoprivano la gioia e il “lusso” dei primi viaggi in utilitaria e delle prime vacanze. E così su questa strada si sviluppò un’economia florida alla quale legarono il proprio destino interi territori, attività e generazioni di persone. Così fino alla metà degli Anni Settanta quando venne inaugurata l’Autocamionale A15, l’autostrada che passa più in basso, nella pancia dell’Appennino, tra gallerie e viadotti e che di fatto ha tolto un po’ di vita alla vecchie via. Ad una Cisa se n’è aggiunta un’altra dove si viaggia veloce, dove ci si ferma solo negli Autogrill, dove si parte e si arriva senza pause e senza pazienza. Una moderna via di trasporto che appare e scompare a chi con la bici ci si arrampica sugli antichi tornanti, che chilometro dopo chilometro scorre sempre più in basso e che però si fa sentire con un frastuono che rimbomba ancor di più nel silenzio della vecchia via appenninica diventata luogo di memoria. Servono ore per scalare l’antica Statale 62 e non si incontra quasi nessuno. A volte un’auto, più spesso le moto, in estate ciclisti che scendono verso il mare e che ti incoraggiano perchè sanno perfettamente cosa ti aspetta prima di arrivare a Fornovo. Il resto è ciò che fu. Qualche paesino, casali e terre coltivate, le terme antiche, locande e vecchi hotel chiusi per sempre, un magnifico borgo ristrutturato e riportato in vita come andrebbe sempre fatto prima di pensare a nuovi progetti. Un lento pedalare fino ai 1040 metri della vetta, fino al cartello che dovrebbe indicare la fine di una salita, fino al passo dove ci si ferma per un ristoro tra due locande dove fanno tappa anche i pellegrini della Francigena e dove, sarà la fame, pane e formaggio di capra hanno il sapore e il gusto impagabile di una prelibatezza mai assaggiata. E’ un piccolo regalo di questa strada a chi arriva fin quassù, un premio alla fatica di chi ancora viaggia fuori rotta ma soprattutto alla costanza di chi nonostante tutto da queste parti “resiste”.