C’è record e record. Dopo quattro anni Eliud Kipchoge, 36 anni, keniano originario della tribù dei Nandi, firma sulle strade di Berlino il nuovo primato mondiale della maratona: 2h01:09 limando di mezzo minuto il suo precedente stabilito il 16 settembre del 2018 sempre sulle strade tedesche.  Pazzesco. Una corsa formidabile  che lo avvicina sempre di più al muro delle due ore che, tra l’altro, ha già  abbattuto  il 12 ottobre di tre anni fa a Vienna, quando  chiuse la sua sfida al tempo senza avversari  in 1 ora, 59 minuti e 40 secondi. Due storie diverse però quella di allora e quella di oggi. Due  imprese immense e affascinanti ma distanti. Stamattina sulle strade di Berlino il keniano due volte campione olimpico non aveva compagni d’avventura ma avversari e li ha battutti tutti. Mark Korir, suo connazionale è arrivato al traguardo secondo quasi cinque minuti dopo (2 ore 05’58), l’ etiope Tadu Abate ancora più staccato (2h06’28).  Non aveva un’auto davanti  a scandire l’andatura,  non aveva  una quarantina di lepri che lo tenevano ben coperto nel mezzo e si davano il cambio per proteggerlo dall’aria,  non aveva una strada asfaltata di fresco e perfetta come  l’Hauptallee nel parco del Prater, non aveva un tracciato con sole due curve a 180 gradi. Oggi  non aveva nulla di tutto ciò.  Quindi se fu pazzesca la corsa di allora a maggior ragione lo è quella di oggi, una gara vera e non un test pensato e studiato dalla Ineos,  l’azienda del miliardario inglese Jim Ratcliffe, l’uomo più ricco di Gran Bretagna, servita ad aprire più una via commerciale che sportiva. Un esperimento sicuramente affascinante ed eclatante di grande valore scientifico e mediatico  ma anche calcolato,  programmato, racchiuso in un algoritmo capace di garantirne il risultato. La Maratona però si porta con sè il mito, la storia, un’anima. E’ il pathos dove le forze che regolano l’animo umano si contrappongono al logos, la parte razionale e scientifica. E allora si vince guardando il crono, ma non si sogna. O forse si sogna meno. Perchè una cosa è entrare nel Panaitinaikò o passare sotto la porta di Brandeburgo a braccia alzate  dopo aver battuto ad uno ad uno tutti gli avversari, evitando le buche, difendendosi dal caldo, dal vento, facendo i conti con un rifornimento mancato perchè nella ressa qualcuno ti ha dato una gomitata.  Altra fare i conti solo con un asettico scandire del tempo. Ed è ciò che fa la differenza e un po’ anche la storia.