Andare in bici è pericoloso e si sa. Chi va in strada fa i conti, purtroppo, in ogni momento con una viabilità inadeguata e con una cultura del rispetto che è tutta da costruire. Vale per chi pedala e per chi guida con l’aggravante che quando si è in auto il non rispetto delle regole, la prepotenza, la maleducazione e l’ignoranza sono “amplificate” dal mezzo.  Ma negli ultimi tempi il problema della sicurezza dalle strade dove i ciclisti si allenano  si sta spostando alle strade dove passando le gare, percorsi che dovrebbero essere “sigillati” e invece non lo sono. Oggi nell’ultima tappa della Parigi-Nizza un’auto è entrata nel percorso e, contromano, si è trovata in piena curva in una discesa in cui stava transitando il gruppo. Paura e rabbia, E’ andata bene ma non può essere una consolazione. Non è la prima volta che succede. Era già successo un paio di anni fa nella discesa finale del Giro di Lombardia e a farne le spese era stato il tedesco Maximilian Schachmann della Bora che se l’era cavata, buon per lui, solo con qualche ammaccatura. Come può accadere che in una corsa ciclistica qualcuno si ritrovi in auto nel pieno del percorso? La sicurezza non dovrebbe essere una priorità assoluta?  Forse è arrivato il momento di qualche riflessione anche perchè ormai basta guardarsi una tappa del Giro o del Tour in televisione per capire che tra moto, ammiraglie, macchine al seguito che non si sa da dove arrivino, operatori tv, operatori radio, cronisti, giudici, ospiti e invitati che vogliono vivere l’emozione in diretta, veicoli pubblicitari e sponsor il traffico è eccessivo. Troppo. E troppo pericoloso.  Oggi alla Parigi-Nizza non è successo nulla ma non sempre va così.  L’elenco delle volte che “bene non è andata” è lungo  a cominciare dalla morte di Antoine Demoitié, colpito da una moto durante le classica Gent-Wevelgem sette anni fa. E ancora  Stig Broeckx, lui pure abbattuto colpito da una moto a pochi km dall’arrivo della Kuurne-Bruxelles-Kuurne come Greg Van Avermaet a  ‘San Sebastian’, come Jacob Fulgsang  al Tour, come, Peter Sagan alla  Vuelta di Spagna. E come non ricordare Jonny Hoogerland e Juan Antonio Flecha speronati e sbattuti in una cunetta al Tour una decina di anni fa da una macchina dell’organizzazione, con i vetri schermati che non si è mai capito chi avesse a bordo.