In bici sull’argine del Po: il senso (intimo) del pedalare…
Un argine e il fiume accanto. Sempre accanto che non ti abbandona mai. Chilometri e chilometri da Pavia verso Cremona, verso Ostiglia, verso Ferrara verso Polesella, verso il mare fino a Ponte di Levante dove il Po e l’Adriatico si abbracciano… Un argine e le bici sopra con le ruote che scrocchiano sulla breccia, che avanzano e spesso si perdono perchè i cartelli non ci sono, perchè le strade si dividono, perchè nel nulla è anche facile perdersi. Sotto le ruote la pianura, le acque, gli spazi infiniti, tre regioni che si intrecciano e si toccano, il Polesine e un delta che è a tratti uno spazio metafisico dove la realtà è ciò che vuoi tu. Finalmente. Il senso più intimo di viaggiare, di pedalare, di viaggiare e pedalare insieme, è quello che ti tieni dentro. Te lo tieni per te per una strana forma di antica timidezza che ti permette di mantenere sacro uno spazio dove non vuoi visite. Con una mappa, senza troppi selfie, senza troppo smartphone, senza squilli di trombe. E’ quello che fai per te: roba tua e di tua moglie che ti sta al fianco, che non molla un metro e che non ti molla, meno male. Tua la gioia, tua la fatica, tuoi i chilometri, salite, discese, pioggia che ti segue, ti insegue e ti mette anche un po’ di ansia. Capita. Il senso più intimo del pedalare è la tua storia, il tuo presente che cambia di giorno in giorno, di anno in anno. L’aspettativa che si trasforma, che diventa qualcos’altro, diventa ciò che vuoi tu. Cambiano le sfide e gli avversari se mai ce ne sono stati. Cambiano le velocità e le distanze. E così Ferrara, città d’incanto, sembra più vicina di quel che sembra. Così Cremona, così Mantova così Rovigo e Fratta con le sue ville del Palladio. E pedalare diventa il modo per scoprire e riscoprire ciò che non immagini, per riprenderti il tempo, la lentezza, per startene per fatti tuoi fuori dal caos, dalle strade con il traffico, dagli scarichi che ti avvelenano i polmoni e il cervello. Pedalare spesso mette a posto un sacco di cose, di casini quotidiani, di pensieri, di “rogne”. E allora svaniscono come d’incanto i guai e la fatica, si va a sensazione e non ci si prova neanche più a fermare il tempo. Non si può fermare il tempo e allora si pedala come si vuole e come si può, magari un po’ meno veloce magari un po’ più a lungo. Niente classifiche, niente cronometri, si arriva quando si arriva ed è il tempo giusto rallentando con gli anni, un po’ più tranquilli per non sembrare presuntuosi e patetici e perchè la ubris è un peccato di quelli che si pagano a caro prezzo, il peggio che si possa fare per inimicarsi gli dei. E allora testa bassa e pedalare come sempre. Magari non più in gruppo, in direzione ostinata e contraria ma senza esibirsi, senza fare gli sbruffoni, tosti come sempre. Però un po’ più saggi come chi conosce le salite, l’unica sfida, quella che vale, dove s’incrociano gli sguardi e dove resti sempre solo con le tue gambe. Forza e pazienza. Fiato e tenacia che non hanno tempo e non hanno età. Fino in cima e fino alla fine perchè in fondo basta avere e pazienza e si arriva. Un po’ come questo fiume che scorre accanto. Lento, paziente, imponente e inarrestabile…