Il ciclismo di “Rogla”: un grande ciclismo dove si cade e ci si rialza…
Non sceglie mai giorni banali il ciclismo di Primoz Roglic che, nonostante tutto e nonostante tutti, nonostante qualcuno dica che abbia uno stile da amatore, resta il ciclismo di un campione. E allora nel giorno della prima vittoria italiana, della tripletta, delle “cotte” di Jan Ayuso e un po’ anche di Isaac Del Toro, della stilettata di Richard Carapaz, che si candida a un bis, altro che cacciatore di tappe a cui il gruppo pochi giorni fa avrebbe fatto una concessione…Ebbene in un giorno così Roglic, dopo l’ennesima caduta, decide di mettere fine alla sua sofferenza in questo Giro che voleva vincere e non vincerà, sale sull’ammiraglia e lascia via libera a Giulio Pellizzari . Giusto così.
Epilogo non banale per un uomo mai banale. Anche se non si capisce bene perchè ma “Rogla”, nell’immaginario comune, è come se fosse sempre un po’ lontano dai primi…Sempre costretto ad inseguire. Come se fosse sempre una ruota dietro a quella nuova generazione di fenomeni che risponde ai nomi di Pogacar, Vingegaard, Evenepoel e Van der Poel, Van Aert ed ora anche di Del Toro, di Ayuso… Come se la sua immagine si fosse fermata a quella fotografia che lo ritraeva nell’ultima cronoscalata del Tour, quello già vinto e poi perso, che lo vide arrivare sul traguardo de La Planche des Belles Filles con l’aria stralunata e il caschetto di traverso battuto da un giovanissimo Tadej che poi sarebbe diventato ciò che è adesso. Un po’ goffo e sconfitto. Come capita spesso nel ciclismo, come capita a tanti. Ma nel suo caso sembra quasi pesi un po’ di più. Quella immagine gli è un po’ rimasta addosso, fa fatica a scrollarsela via. Nonostante un poker alla Vuelta, un Giro, l’oro olimpico a cronometro a Tokyo, la Liegi, due volte Delfinato, due volte la Tirreno-Adriatico, due Giri di Romandia, quello dei Paesi Baschi, una Parigi-Nizza e una Volta Catalunya, tre Giri dell’Emilia, una Milano-Torino e via dicendo. Nonostante sia, con quindici successi nelle classifiche generali delle corse a tappe, il terzo più vincente di sempre nella storia del ciclismo a sole tre lunghezze da Eddy Merckx e a due Jacques Anquetil. Mica due qualunque.
Che non è poco. Che è tantissimo per questo campione nato 35 anni fa a Trbovlje, un paesone di 20mila abitanti nella Slovenia Centrale in una zona nota più per i suoi giacimenti di carbone e per le centrali termoelettriche che per tradizioni ciclistiche. E infatti ciclista ci diventa per caso. Da ragazzo la passione è quella degli sci, sci lunghissimi quelli che lo portano a volare dai trampolini del salto e anche con ottimi risultati visto che a 18 anni conquista con il quartetto nazionale il titolo mondiale juniores. Ma nel 2007, in un gara del campionato d’Europa, mentre è in volo viene spazzato via da una raffica di vento che gli fa perdere l’equilibrio e lo fa atterrare rovinosamente sulla neve. Non è un impatto morbido, anzi. Finisce in ospedale privo di sensi ed inizia un lungo periodo di convalescenza prima di tornare a saltare. Convalescenza che fa in bici ed è un colpo di fulmine.
Ottimo passista, anche scalatore, anche cronoman inizia a correre per fatti suoi, poi con alcune squadre dilettantistiche e nelle Granfondo dove vince diverse volte cominciando a farsi notare. Nel 2013 finalmente trova un contratto da professionista con l’Adria Mobil, un importante team sloveno. Diventa capitano di una squadra per la prima volta a trent’anni, con la Jumbo Visma al Giro del 2019 dove sale sul terzo gradino del podio alle spalle di RichardCarapaz e Vincenzo Nibali. Poi comincia a vincere. Da allora è uno o con cui si devono sempre fare i conti, da mettere sempre tra i favoriti. Lo era anche quest’anno al via in Albania. Poi non è andata come doveva andare ma fa tutto un po’ parte della sua storia. Il ciclismo di Rogla è un ciclismo dove spesso si cade e ogni volta ci sia rialza. Ed è un grande ciclismo…