[photopress:laurent.jpg,full,alignright]Laurent Fignon me lo ricordavo con il caschetto biondo, gli occhialini tondi da intellettuale e l’aria un po’ supponente tipica dei francesi. Andava forte, anzi fortissimo. Perchè uno che vince due Tour, un Giro, la Sanremo, una Freccia vallone e molto altro ancora come volete che vada… Soprattutto di Fignon ho impresso nella mente il Giro dell’84 e quell’ultima tappa a cronometro che arrivava all’Arena di Verona. Era l’epoca delle prime ruote lenticolari, di Francesco Moser che andava come una moto e di quell’elicottero che gli organizzatori gli piazzarono sulla testa dalla partenza di  Soave  che a dire del <professorino> gli costò Giro e maglia rosa che finì infatti sulle spalle del trentino. Più o meno trent’anni fa. Una vita.  Ieri Laurent Fignon era  al processo di Tappa della Rai. Ora ha gli occhialini quadrati, diversi chili in più. la barba incolta e una testa rasata al posto del caschetto biondo. Ha scritto anche un libro che è un po’ il segno del tempo che è passato: <Quando eravamo giovani e spensierati>.  E’  malato, ha un tumore allo stadio avanzato e lo ha confessato in diretta in una trasmissione sul primo canale della tv francese:  <È un cancro  che ha già prodotto delle metastasi – ha detto al giornalista che lo  intervistava- Dunque non so quello che mi resta da vivere. Non sappiamo che succederà. Ma sono ottimista. Lotteremo e riusciremo a vincere questa battaglia. Il doping? Non dirò che non abbia influito. Non ne so nulla. È impossibile dire sì o no. Secondo i medici, sembra di no. All’epoca mia  tutti facevano la stessa cosa ma se tutti i ciclisti che si sono dopati dovessero avere il cancro, ce l’avremmo tutti…». Ieri intervistato da Alessandra De Stefano e Gianni Mura ho rivisto nei suoi occhi lo sguardo furbo del <professorino> che mi aveva conquistato con quella maglia gialla targata Renault al Tour de France. E continuo a fare il tifo per lui.