Belle le storie e belli i racconti. Soprattutto quando toccano i sentimenti e quando ti fanno riflettere. Nelle grandi citta si va di corsa, nel senso che si va di fretta, e tutto si consuma molto più velocemente. Anche il Natale.  Si perde il gusto delle piccole cose,  non c’è più pazienza per apprezzare la noia,  c’è un prezzo per tutto. E tutto vola via. Così può capitare che, proprio correndo, uno ritrovi un po’ di tempo fermarsi a riflettere, per rimettere in ordine i suoi pensieri oppure  incontri uno sconosciuto che ti racconta una storia che sembra incredibile. Quella che segue mi è arrivata da un’amica sulla e-mail. E vale la pena di leggerla.

 

Quello che non ho mai compreso e, tuttora mi sfugge, è la capacità delle persone di prepararsi e attendere il Natale per poi scordarsene velocemente il giorno successivo. Come se fosse una di quelle cene, complesse ed articolate da preparare in cucina e poi, in pochi attimi viene consumata ,divorata, scordandosi di quanto tempo ci è voluto a cucinare le gustose pietanze. Quest’anno per me è invece passato come una brezza, fresca e silente, quelle che si percepiscono ma non comprendono. Mi son sentita avvolgere un attimo senza poter decifrare le mie sensazioni e quando stavo per tradurle…. era già tardi ed esse scomparse. Il nostro Sindaco ha deciso dovesse essere un Natale sottotono e le tanto amate lucine della Moratti son rimaste spente e inutilizzate in qualche magazzino oscuro ma, forse nei nostri cuori non ci dovrebbe essere la necessità di accendere le luminarie per capire che è Natale. Perché abbiamo sempre la necessità di vedere all’esterno ciò che dovremmo sentire dentro di noi? Da anni oramai cerco e mi sforzo di unire il nucleo alla corazza e talora mi riesce davvero difficile ma poi ho capito come funziona. Non è esattamente qualcosa che succede in automatico perché diveniamo prigionieri dei nostri stessi schemi mentali, i quali, col passare del tempo, diventano gabbie all’interno delle quali ci muoviamo come degli automi. Ci fanno sentire protetti ed al sicuro, non ci spingiamo mai su terreni sconosciuti e questo sentore di protezione ci risparmia passi falsi e sconfitte.  Ieri sera ascoltavo alcuni racconti della vita di Steve Jobs e la famosa fase che l’ha spinto e sostenuto per anni ”stay hungry, stay foolish” mi ha colpito con forza. Non è necessario essere malati terminali per capire che nella vita ci dobbiamo mettere in gioco anche a costo di renderci ridicoli. Nessuno o quasi si trova per caso di fronte a opportunità grandiose e promettenti, e, anche se ciò di rado accade, i timori e le ansie ci rendono analitici e dubbiosi, trattenendoci da salire su quel treno. Ci accorgeremo solo dopo, una volta perduto, quando è troppo tardi ed oramai alla stazione successiva, pronto a far salire qualcun altro. Spesso perdiamo talmente tanto tempo a riflettere e cercare dettagli per decidere se cogliere una chance che ne perdiamo semplicemente l’opportunità. Un pizzico di rischio o follia ci darebbe invece la possibilità di affacciarci a situazioni che, anche se negative, ci potrebbero insegnare e aprire nuove altre porte.  L’altro giorno, per esempio, non avevo alcuna voglia di andare a correre ma, visto l’accumulo di panettone e cibi natalizi, mi son costretta ad abbandonare il tepore casalingo. Correndo lungo il perimetro del parco, come un criceto nella sua ruota, mi si è affiancato un anziano signore. Correva con piccoli passi ma veloce e inesorabile e con uno sguardo furbo e tagliente mi chiese se potesse correre in mia compagnia. Lievemente indispettita per quell’anomala intrusione, feci solo un cenno di assenso piegando la testa. La velocità moderata ci permetteva qualche parola ma alla fine, macinando chilometri e chiacchiere, mi raccontò parte della sua vita ed in particolar modo perché correva tutti i giorni.  Paolo, così lo chiamerò, aveva perso la moglie ed entrambi i figli in un tragico incidente d’auto anni fa e si era abbandonato ed affidato alle spire dell’alcool. Dopo qualche anno buio, una notte si risvegliò in mezzo ad una strada senza sapere dove fosse e come ci fosse arrivato. Gli abiti a brandelli ed il portafoglio scomparso. Con la mente ed i sentimenti annebbiati ed anestetizzati Paolo cercò di orientarsi ma non ricordava neppure dove abitasse. Trascorse per strada a chiedere aiuto ai passanti ma nessuno gli dava retta credendolo un senza tetto alcolizzato. Notando che ero sull’orlo della commozione smise di raccontare e mi chiese qualcosa di me. L’affanno non mi permise di dirgli molto anche perché la curiosità mi spingeva a domandargli come e dove avesse trovato la forza e motivazione per tornare a vivere, coabitando con l’immenso dolore del suo gravissimo lutto. Mi disse che tornato a casa dopo i due giorni a vagabondare in preda alla confusione mentale, si rese conto che nulla era cambiato in lui. La casa era certamente ed insopportabilmente vuota ma, il suo cuore e la sua mente avevano finalmente abbracciato ed accettato la grave perdita. Semplicemente aveva smesso di combattere il dolore……….Ora era in pace mi disse e correre lo faceva sentire più vicino al suo stato naturale, la sua anima. Correndo riusciva ad avvicinarsi alla purezza dei sentimenti che lo aveva unito per decenni ai suoi famigliari e quasi poteva percepirne l’amore e il respiro. Ancora una volta dovette smettere poiché oramai piangevo come un salice e, ringraziandomi per averlo ascoltato, mi diede un buffetto sulla guancia allontanandosi con quel passo corto e ritmato.   Non lo vidi più ma pochi giorni successivi, entrando nel Parco dove son solita correre, vidi una macchina blu coi vetri dei passeggeri scuri, sembrava mi aspettasse e ne fui quasi intimorita, tanto che allungai il passo in direzione opposta. La macchina mi venne dietro e con la coda dell’occhio vidi una figura vestita elegantemente con guanti e cappello. Teneva in mano un mazzo di rose bianche e, per ragioni ancora non chiare mi fermai e voltai. Si alzò il cappello a tesa stretta per salutarmi e riconobbi in lui l’anziano signore sudato e chiacchierone. Mi porse le rose ringraziandomi per le lacrime che avevo versato ascoltando la sua storia. Mi disse non esser mai riuscito a piangere dopo la scomparsa della sua famiglia ma vedere la mia commozione gli aveva permesso di comprenderne la profondità e accettarla. Paolo è un uomo molto in vista e lo riconobbi per caso mesi dopo fotografato in un articolo di finanza. Talora raccontarci per comprenderci è un mezzo potentissimo per accettare ciò che tendiamo a negare.