Ci sono due modi di correre e di macinare chilometri. Due “mondi”, verrebbe da dire… C’è chi ama la solitudine, il silenzio, i percorsi non battuti e chi invece non può fare a meno delle grandi gare, quelle da migliaia di atleti al via,  che in realtà sono “eventi” anche prima, durante e dopo. Così fa un po’ strano  trovare Giovanni Storti, runner da trail e da corse ( anche impegnative) in montagna al via della Maratona di Osaka, che si è corsa la settimana scorsa. Strano anche trovare Nico Valsesia, l’uomo “per cui la fatica non esiste” o Aldo Baglio che, come ripete spesso scherzando, è runnes specializzato in corse a “bassa intensità”.  Ma la maratona di Osaka,  nata solo quattro anni fa nella città che ospita la casa madre del marchio Mizuno, e che ha portato al via quasi 40mila atleti vale l’esperienza. Anche perchè  è un viaggio in un mondo con storia e cultura  diverse da quelle occidentali e una con concezione dello sport e della corsa  “quasi zen” ben raccontata Haruki Murakami  nell'”Arte di correre”.  Correre per partecipare, per ritrovare qualcosa in se stessi, per conscersi e mettersi alla prova:  tempi e vittorie, contrariamente a quanto accade da noi, sono quasi sempre un dettaglio. E ciò in parte spiega come la prima edizione della Osaka Marathon nel 2010 ha visto al via 30mila runner’, un numero infinito di corridori che valgono una major e in Italia sono fantascienza… “Ciò che colpisce- racconta Giovanni Storti–  è la straordinaria organizzazione e la partecipazione del pubblico. Una cosa incredibile. Sul percorso ci sono oltre 10mila volontari e il risultato si vedeva perfettamente, nonostante la folla oceanica. Nessuna coda, nessun intoppo, nessuna attesa…alla consegna delle borse alla partenza, davanti ad ogni camion c’erano ordinatissime file composte da quattro volontari ciascuna: il primo riceveva con due mani il sacchetto dal concorrente e ringraziava con sorriso e un inchino, poi si girava e passava il tutto al secondo volontario. Altro sorriso e altro inchino, idem con il terzo volontario, fino all’ultimo che prendeva in consegna il tutto sempre inchinandosi ogni volta in segno di rispetto e adagiava la sacca all’interno del camion con la delicatezza e la cura che noi in genere riserviamo alle uova o ai servizi di cristalleria”.  “Certo- continua Giovanni-  in tutta sincerità non si può dire che Osaka sia una splendida città e che il percorso sia spettacolare  però la partecipazione del pubblico è davvero fenomenale: due ali di folla che ci hanno accompagnato per tutti i 42 km senza mai smettere di incoraggiare ogni singolo partecipante. Quanto al tempo…beh, diciamo che ormai il mio tempo l’ho fatto: sono arrivato in fondo, e tanto basta”. Chi invece in Giappone ha corso in  meno di 3 ore e mezzo è stato Nico Valsesia, che nel Trio ha preso, per un week end il postodi Giacomino Poretti che con la corsa non ha un buon feeling. Nico è  “uomo da record” su molte distanze di corsa in salita e in montagna ed era allla sua prima maratona su strada. Ma al suo esordio assoluto in una maratona su strada: “In realtà non so bene quanto ci ho impiegato- racconta- . Sul momento non ho fatto caso con precisione al mio orologio e i risultati, a quanto ne so, sono stati pubblicati solo in giapponese. Ma non è che mi interessi molto: per quanto mi riguarda, 42 chilometri sull’asfalto, tra case e grattacieli, sono molto più stancanti e stressanti di qualunque ultra trail!”. Tempo non pervenuto, infine, anche per Aldo Baglio, iscrittosi alla Challenge Run di 8,8 km contemporanea alla maratona. “Mi piace correre, ma le maratone non fanno per me- racconta- mi basta divertirmi e in questo caso, in compagnia di due amiche assai poco competitive, ce la siamo veramente presa comoda. Anche perché lo spettacolo non mancava; tra i partecipanti alla maratona abbiamo visto le persone più improbabili e i travestimenti più incredibili: guerrieri Ninjia, Api Maie, uomini d’affari in completo nero e valigetta ventiquattrore, Minnie e Topolino, ballerine con un enorme cigno montato sulla testa. E vogliamo parlare dei bagni? C’erano ‘pit stop’ con bagni chimici ogni pochi chilometri la gente per fare pipì si piazzava in lunghe file dirette dal solito volontario tutto inchini e sorrisi per aspettare il proprio turno: non uno a cui venisse in mente. Anzi no, uno solo un italiano piccoletto e coni baffi di cui non farò il nome che poi ha approfittato di un cespuglio…”