578176_10208804176769856_3333425172090075680_n«Milano sta diventando un po’ berlinese….». E detto da Andreas Kipar, architetto paesaggista nato tra le fabbriche della Ruhr ma che da quasi trent’anni vive a Milano, c’è da crederci. Ma non basta l’aria «berlinese» dell’Upcycle Cafè, uno dei locali più vivaci della città, dove Kipar si trova a presentare «viaggi naturali» il nuovo libro di racconti erranti di Andrea Ferraretto, a far pari e patta. A chiudere il conto tra le esigenze «orizzontali» del verde e della natura e quelle «verticali» di urbanisti e costruttori. A Milano manca ancora qualcosa per fare quel salto di qualità che altre capitali europee hanno già fatto per diventare più «green» o completamente «green». «Diciamo che abbiamo l’hardware- spiega l’architetto che ha progettato i raggi verdi- ma non il software. Non abbiamo ancora sviluppato in pieno la consapevolezza che lo spazio deve essere lasciato libero per le persone…». E l’esempio è ancora tedesco, quello dell’aeroporto cittadino Tempelhof dove ora non si parte e non si atterra più. «Là anche se la pista è rimasta di cemento sembra diventata un prato- spiega Kipar- perchè lo spazio è rimasto libero. Sembra un prato fiorito anche se non si fatto nulla. E la differenza con piazza Castello è tutta qui nel modo diverso di utilizzare lo spazio. L’isola pedonale non diventerà mai prato anche se è stato vietato il traffico, se sono state tolte le auto perchè lo spazio è stato occupato da strutture inutili, da bancarelle, da mercatini ignobili che non lasciano nessuna libertà di immaginazione…». Lo spazio e la mobilità al centro. Al centro di una chiacchierata che vede Milano a metà del guado: «Lo scatto che la città non riesce e fare per quanto riguarda una mobilità come quella ciclistica che in questi anni è comunque cresciuta- spiega Marco Mazzei, di Milano Bicycle Coalition– è uscire dalla logica che la bici si debba usare solo per svago o per andare a passeggio. Che non sia invece un mezzo per lavorare, per muoversi adatto ad una città che ha necessità energetiche e di velocità». E Milano sarebbe la città perfetta per un esperimento serio di ciclabilità. «Che non è solo un discorso di spazi ciclabili- spiega Kipar- Sono state costruite piste con chilometri di cordoli anche in granito che però sono costosissime e inutili. I cordoli sono pericolosi e non servono. Hanno solo un valore simbolico, servono a tenere tutti nel flusso a stare nel regime». Anche se a complicare le cose è l’abitudine a pensare sempre alle grandi opere: «I raggi verdi che permetterebbero ai milanesi di uscire fuori porta esistevano già- racconta Kipar- Poi però sono arrivati gli ingegneri a pianificare, normare a pensare a ponti sottopassaggi e il costo per realizzarli è lievitato a 30 milioni. E non si e fatto più nulla…». Stesso cosa per la riapertura dei Navigli? «Assolutamente no- chiude il discorso l’archietto- Riaprire i Navigli sarebbe una follia. Avrebbe senso farlo solo legando il progetto al rifacimento dell’impianto fognario della città che oggi è un’emergenza, come hanno fatto a Londra. Altrimenti sarebbe solo un’ipocrisia, perchè basta andare in stazione centrale e vedere quanti profughi si nascondo e dormono tra i binari per capire che Milano ha altre urgenze»

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