camp“Quell’attrezzo infernale è stato inventato dal diavolo e ci porterà via i fedeli…» scriveva allarmato il parroco di Tombolo al vescovo di Padova tanti anni fa. Un mondo fa. Perché con quell’attrezzo infernale gli italiani cominciavano a muoversi, cominciavano a scoprire le città e a confondere i dialetti. Così la bici diventò il mezzo per scoprire, conoscersi, lavorare. L’oggetto dei desideri di un’Italia magicamente raccontata da Vittorio De sica in «Ladri di biciclette» e che, chi poteva permettersela, custodiva nei piani più alti delle case per non farsela rubare. Come oggi d’altronde… «È stata la vera rivoluzione industriale del nostro Paese – racconta Ennio Doris – Prima ancora che con le auto, che si potevano permettere in pochissimi, gli italiani cominciarono a pedalare. E la storia d’Italia è stata fatta in bicicletta». Racconti, personaggi, vite di ciclisti ma soprattutto di uomini che il presidente di Banca Mediolanum e il giornalista Pier Augusto Stagi hanno raccolto nel Libro «Campioni Miei» edito e in vendita con Il Giornale da venerdì, giorno della partenza del novantanovesimo Giro D’Italia. Non è un caso. «Quando mi è capitato di incontrare Ennio Doris – racconta il direttore del Giornale Alessandro Sallusti – mi sono fatto l’idea che dopo famiglia e lavoro per lui ci sia il ciclismo che è parte della sua testa e della sua carne. È la metafora della vita: fatica, impegno sempre e comunque, il traguardo da raggiungere che non è mai l’ultima tappa di una carriera. E la sconfitta che, come gli diceva suo padre, non deve portare disperazione perché c’è anche domani…». Doris sveste così per un giorno i panni di banchiere di successo per indossare quelli di esperto di ciclismo che è un mondo che conosce alla perfezione: «La passione nasce dai racconti di mio padre che era un coppiano – ricorda -. E lo sono diventato anche io. Fausto era il più grande perché ha fatto il record dell’ora, ha vinto mondiali a inseguimento, era un passista straordinario ma soprattutto un grande scalatore. Aveva talento, cuore e testa. Ma questo libro è stato ispirato da Giuseppe Beghetto, un campione di Tombolo, il mio paese, che mi ritrovai compagno di banco in quinta elementare dopo che era stato bocciato. Già allora si capiva che sarebbe diventato fortissimo in bici ma ottenne meno di ciò che il suo talento annuciava… Gli piaceva la bella vita». E «Campioni Miei» gira tutto intorno a qui, un viaggio nella memoria raccontando dodici campioni che hanno vinto e convinto ma che avrebbero potuto ottenere molto di più perchè avevano talento da vendere ma magari sono stati meno tenaci, meno determinati, più sregolati o solo più sfortunati. Da Giuseppe Beghetto a Federico Bahamontes, da Gastone Nencini a Fiorenzo Magni a Gianni Motta, Franco Bitossi, Giovanbattista Baronchelli, Gianni Bugno, Maurizio Fondriest fino un grandissimo dei nostri giorni come Vincenzo Nibali. «Sono tutti campioni unici e grandissimi – spiega Pier Augusto Stagi – che abbiamo voluto raccontare mettendo insieme una passione condivisa che è il filo conduttore di questo libro. È l’omaggio a quegli atleti che sono stati qualcuno ma avrebbero potuto essere qualcos’altro, forse di molto più grande e prezioso». Perché a volte serve soffio in più a segnare un destino. Come ripeteva all’infinito Mohammed Ali: «Soffri ora e vivi il resto della tua vita da campione…».

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