rim“Il mare è piatto come una tavola da biliardo…” ripeteva ieri lo speaker del Challenge Rimini che poi credo sia lo stesso della Milano Marathon e di tanti altri grandi eventi di fatica. Una voce inconfondibile che conosce i tempi, perfetta per far salire la pressione di chi sta per partire. Perfetta per creare quell’attesa che monta insieme a quel sottile senso di ansia che prende un po’ tutti prima di un via. Magia delle gare.  Magia di un mondo che non ha età. Però se il mare è piatto come una tavola da biliardo si può star tranquilli… Invece no perchè il mare piatto spesso nasconde correnti fetenti che, come il vento bici, sono sempre contro, e un’onda strana che complica la nuotata di chi già se la complica da sè. E così si comincia, con migliaia di uomini e donne stretti nelle mute che sembrano più rondini impazzite, con l’acqua che diventa schiuma e che sa di sale quando capita ( e capita) di mandarla giù.  E si capisce subito  che il quarto Challenge, orgoglio di una Romagna ormai sempre più patria di triatleti e non solo di ciclisti, non sarà una passeggiata.  E’ un po’ il bello di Rimini che tutti immaginano più luogo di relax  che di fatica. Più da giochi in spiaggia dove i bicchierini si rovesciano in testa  per vincere l’aperitivo di mezzogiorno che non per sciacquarsi via il sudore. Più da creme solari che da vaselina da mettere sul collo e sulle braccia prima entrare in acqua. Ci fosse ancora Federico Fellini sul Challenge farebbe un film. Più strana che Dolce la vita. Difficile da spiegare  a molti che applaudono incuriositi e forse senza ben capire perchè,  ma soprattutto ai nuovi turisti russi che escono dagli hotel e si ritrovano a camminare fianco a fianco a “marziani”  in body , con caschi a forma di siluro che camminano a piedi nudi, spingono bici che sembrano motorini e come tante formichine puntano verso un una tana fatta di transenne. Facce da cinematografo, di gente che scruta il mare e scruta il cielo quasi dovesse partire per un viaggio senza certezze. Facce rassicuranti come quelle di Alessandro Alessandri,  il race director  sta scritto inglese sul libro di gara, ma che qui in Romagna significa  “il macchinista” che tutto vede e tutto fa in un’ organizzazione che ormai non ha quasi sbavature. Facce concentrate come quelle dei campioni. Gente che nel romanzo dello sport meriterebbe pagine più importanti per ciò che fa, per la fatica che fa, per i gesti che compie. Ma forse per guadagnarsi la gloria dei nostri giorni serve più  tirar calci ad un pallone oppure marciare, barare e poi pentirsi…Ma Rimini è uno scrigno che regala emozioni a tutti. Così anche chi sa che arriverà al traguardo quando per tanti è già tempo tornare a casa, si tuffa e comincia a scrivere la sua giornata di avventura. Che non gli toglie nessuno.  Gente che va e gente che viene. Il Challenge è un po’ così. Con le zone cambio che filano via in pochi secondi per i primi e diventano il tormento del tempo che passa per chi fatica scalciando anche a togliersi la muta. Poi si riparte verso la Romagna fantastica dell’entroterra, che profuma di ciclismo, di storia, di tradizioni e di buon cibo ma quasi mai finisce sulle cartoline. Ed è un peccato perchè, anche se per tutti non c’è tempo di guardarsi attorno, da Monte Scudo, a Montegrimano al Monte Cerignone questa è una terra dove l’Italia ha tante cose non banali da dire. E cosi il mare che si allontana diventa un ricordo e il presente sono quella novantina di chilometri che chi non ha mai fatto impara a conoscere e chi ci è già passato torna a ricordare. Duri come sempre. Come aveva detto all’inizio lo speaker. E lì era stato sincero, non come con il mare. Duri per tutti tranne che per Giulio Molinari che incontri al 60 chilometro che sta già tornando indietro. Passa con un sibilo, composto, elegante sembra non faccia neppure fatica  e così capisci che non ce ne sarà per nessuno…Ma la bici è una parentesi. E’sul lungomare che si decide tutto. “E’ sul lungomare che si fa la storia…” direbbe un bravo telecronista… Bagno 28, 46, 59. Bagno 90, finalmente la boa e si torna indietro fino alla rotonda del Grand Hotel che non si vede e non arriva mai. Con il “cinque” che ogni volta Dario Nardone dà a tutti, senza dimenticare nessuno, con le stesse facce che incontri e rincontri,  con i nomi sui body che provi a leggere per vedere se riconosci qualcuno che hai già sentito nominare. O forse solo per ingannare il tempo e la fatica. Con i nomi di chi sta arrivando al traguardo, annunciati al microfono con l’enfasi che meritano e che un po’ di invidia ti fanno ma non perchè sono stati più veloci…Con i pensieri che si tufferebbero in mare, che inseguono i profumi dei ristoranti immaginando una meritata ricompensa finale, che provano a darti un appiglio per non mollare. Con un pensiero più importante che “Primaditutto”  ti ricorda e ti ripete che c’è qualcuno che ha nuotato, ha corso e pedalato in fianco a te e che sta facendo qualcosa di grande che va al di là di tempi, medaglie e altre stupidaggini. Le sfide vere sono quelle lì e non bisogna dimenticarlo mai perchè serve  a non perdere la giusta misura delle cose.  Con gli applausi, con i sorrisi, con le mani di un bambino che ti vuole salutare, con la faccia incredula di una signora un po’ avanti con l’eta che potrebbe anche decidere di provarci e con una fettuccia bianca e rossa del Challenge che si gonfia e si piega all’ennesima folata di vento. Già, il vento…”Il mare è piatto come una tavola e non c’è un filo di vento…” ripeteva lo speaker prima della partenza. Ma vatti a fidare dello speaker…

Foto: Ottavio Pamantini

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