“Dai papi ancora un minuto sto whatsappando…”. Cosa stai facendo, scusa? Per uno di una certa età ( a 55anni ormai si ha una certa età)  quel “whatspappare” è una ferita al cuore. Se poi magari ha anche fatto il classico proprio non ce la fa digerire quella roba lì… Che è anche impossibile leggere in metrica. Però bisogna rassegnarsi. Oggi si twitta, si resetta, si zippa, si cracca, ci si logga e si fanno un sacco di altre cose che con i verbi di una volta non hanno nulla a che spartire. La vedo proprio  la mia maestra delle elementari che mi chiede il trapassato prossimo di “followare” o il congiuntivo passato di “linkare”. Però va così. Le lingue sono sempre state vive e quindi seguono i tempi, si trasformano e si adeguano. Però la tentazione di cedere alla nostalgia che fa sembrare più bello tutto ciò che c’era una volta è forte. Fortissima soprattutto di fronte a nuove parole come “apericena” che nelle intenzioni dovrebbe essere un aperitivo che vale una cena e che però costa 15 euro in piedi. E quindi forse è meglio  continuare a ragionare su una vecchia parola come “pizza” che costa uguale però comodamente seduti a un  tavolo. Anche “photoshoppare”  suona un po’ male. Prendi una foto brutta e diventa bellissma, togli i difetti ai ritratti nascondendo un po’ di rughe, elimini qualche chilo troppo da cosce e fianchi negli scatti al mare tutto con la magia fotoritocco. Che potrebbe tranquillamente chiamarsi così anche se mi rendo conto che fa un po’ “antichi”, come mi ripete spesso il mezzano dei miei tre figli. Ma si può far peggio. Qualche mese fa il responsabile di un ufficio stampa chiedendomi se avessi ricevuto una sua e-mail mi aveva chiesto se fossi o meno “smartphonizzato”.  Participio passato coniugato al futuro. No, ancora no per fortuna. Però corro. Corro tantissimo, inseguendo nuove parole e amici che mi danno appuntamenti nelle telefonate del sabato sera. “Domattina c’è qualche corsetta in giro? La troviamo una tapasciata?”. Basta un clic. Undici, quindici o 20 chilometri calcolati un po’ a occhio ma comunque più che sufficienti per rigenerare testa e gambe dopo una settimana di lavoro. Con il te fumante ai ristori e una bottiglia di rosso come premio alla fine. Così tanto continuare con i neologismi domenica da queste parti si può  “tapasciare” alla Strapazzalago e a Barbada, in provincia di Bergamo “al pass, al trott, al fresc” ; a Somaglia in provincia di Lodi,  a Gorgonzola nella “Gipigiata”; a Mezzago in provincia di Monza e a Montesiro nella Marcia dei sette campanili. E in un mondo che “twitta” e “whattsappa” io, come diceva Totò, “modestamente tapascio”…