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Vivere con tutti i sensi, cogliere l’essenza di ogni secondo, di ogni attimo, assaporando un’avventura che sembra non avere limiti e che invece ne ha uno preciso, estremo , da raggiungere ma da non oltrepassare. Vivere ad alta intensità nel mare, su un’onda, sfiorando la barriera corallina, su una bici nel verde vergine di Tahiti, nel deserto dello Utah, tra le acque di un fiordo norvegese, nel bianco di un ghiacciaio che si sbriciola, con la neve che viene giù con te, con la tua tavola, con i tuoi sci che sfidano ogni pendenza, ogni roccia, ogni salto e ogni logica. Vivere di vento, di silenzi e di libertà. Col cuore in gola, con l’adrenalina sottopelle, con l’anima che plana in un volo libero che scende dalle vette a valle che risale e che rincorre un’estasi che pochi conoscono. Vivere anche rischiando di morire. Tutto in una sera, tutto in un ora e mezzo. Tutto sullo schermo e sul palcocscenico dell’Arcadia di Melzo dove è andata in scena la prima italiana di “Don’t crack under pression”, l’ultimo capitolo della trilogia Nuit de la glisse, opera cinematografica del regista Thierry Donard,  sfida nella sfida che celebra la bellezza e la spettacolarità degli sport estremi raccontando da vicino la vita degli atleti. Un’ora e mezzo con il fiato sospeso, incollati alla poltrona perchè le immagini raccontano una realtà che ti inchioda alla poltrona, ammirati e combattuti  tra ciò che mai faresti e ciò che invece sarebbe bello fare almeno una volta nella vita. Un concentrato di emozioni in un viaggio che rivela  paesaggi mozzafiato , angoli magici di un pianeta incontaminato: ” Nei miei film ho sempre scelto gli atleti per il loro valore e per aiutarli a inseguire i propri sogni- racconta Donard–  Questa è la mia passione. Il limite? Non è una ricerca ossessiva, c’è  piuttosto l’idea  di confrontarsi con le forze della natura per compiere imprese che diano emozioni. Mi sono molto concentrato sulla convivialità, sulla collaborazione e i legami che si sono creati tra questi ragazzi, uomini e donne di culture diverse.  La vita di questi atleti mi interessa, perché meritano davvero di essere chiamati atleti fuori dalle riprese si allenano sempre seriamente, vederli cavalcare le onde, come anche le montagne di Tahiti e scalare le vette a piedi è davvero pazzesco».  E vale per tutti i ragazzi che sono passati da queste parti, che sono diventati una squadra, un gruppo amici che si aiutano e che si fidano. Vivono, sognano e spesso hanno anche paura: “Ciò che facciamo sulle vette o tra le onde dell’Oceano ci riempie i sensi- racconta Davide Carrera recordman di immersioni in apnea- Deve essere così per cogliere ogni secondo ma anche perchè sappiamo che ogni minima distrazione può costarci cara. Paura di morire? Sì c’è sempre ma c’è anche la convinzione che potrebbe accadere mentre stiamo rincorrendo un sogno. Che è il modo miglior di restar vivi…”.