confATTACCO AL KANCHENJIUNGA. Stavolta si parte a Pasquetta. Come sempre inseguendo un sogno che ti lascia senza fiato. Sugli ottomila va così se non hai l’ossigeno. E Marco Confortola, 47anni alpinista valtellinese, tutte le dieci volte che è salito fin lassù l’ossigeno non se l’è mai portato. Stavolta tocca al Kanchenjunga 8.586 metri, la terza montagna più alta della terra, al confine tra Nepal e India. Tocca al «Kance», come lo chiamano gli alpinisti quando parlano del «forziere della neve», una sfida già tentata quattro anni fa quando a poco più di un centinaio di metri dalla cima aveva dovuto rinunciare perché il piede sinistro si era congelato: «O tornavo indietro o non tornavo più- ricorda- Ho dovuto scegliere. E a ottomila metri non è facile decidere, capire dov’è il limite. Lassù funziona tutto diversamente, le tue gambe, le tue braccia, il tuo cervello…Senza ossigeno va tutto al rallentatore. Anche i pensieri…».

LA SPEDIZIONE. Quindi si riparte, in un moto perpetuo che segna i ritmi di una vita «viva» che senza le vette non ha alcun senso. Ma stavolta sarà tutto diverso. Confortola farà parte di una spedizione internazionale che troverà sul suo cammino anche una spedizione olandese. Ritroverà Wilco Van Rooijen e Cas Van De Gevel con i quali aveva raggiunto la vetta del K2 nel primo Agosto del 2008, dieci anni fa in una scalata tragica in cui morirono 11 alpinisti. Loro tornarono a casa ma in montagna insieme non ci sono più andati: «Ritrovarsi è destino? Non credo al destino nè alla superstizione- taglia corto- Quando scali un ottomila non te lo puoi permettere, devi credere in ciò che fai, non lasciare nulla al caso, prepararti alla perfezione, curare ogni dettaglio, far conto su te stesso. Io e Wilco dopo quella spedizione non abbiamo più fatto ottomila insieme, ma ci siamo già incontrati perché lui è venuto a scalare in Valfurva con me…».

GLI INCUBI DEL K2. Però il k2, e quella missione maledetta di dieci anni fa, i segni li ha lasciati. Confortola ha perso tutte le dita dei piedi e ora, dal 43 che aveva, calza scarpe numero 35: «Da allora sono cambiate molte cose- racconta- Ci ho messo un anno ad imparare di nuovo a camminare e comunque ora ai piedi ho sempre freddo perché la circolazione sanguigna è diversa, insufficiente. In montagna il problema è enorme perché rischio più facilmente il congelamento. C’è poi un problema tecnico. Mi hanno costruito scarpe apposite che mi tengono un po’ più caldo e che mi permettono di gestire meglio l’appoggio…». Però ci sono le ferite nell’anima, tagli curati ma impossibili da rimarginare: «Io nella vita di tutti i giorni lavoro per l’elisoccorso di Sondrio- racconta Confortola – Sono spesso in contatto con la morte purtroppo. Ma quello che è successo sul K2 dieci anni fa non si può dimenticare. Non lo posso dimenticare. E ogni volta che penso al K2 piango…».

NON MOLLARE MAI. Ottomila per dieci. Una vita alla ricerca di una cima che non basta mai, che può sembrare un azzardo, una forma di egoismo, una fissazione: «È la mia vita ed è solo passione – spiega- vado spesso nelle scuole a raccontare la mia esperienza ai bambini. Ripeto loro di inseguirle le passioni, di fare sport e di imparare a non arrendersi quando si insegue un sogno. Non mollare mai… Solo così si ottengono le cose, solo così quando sei su un ottomila trovi la forza di andare su e, se si mette male, di tornare a casa…».

GLI OTTOMILA “ALTI” E QUELLI “BASSI”. Il Kance è una montagna infinita. E un ottomila «alto» perché così si dividono gli ottomila, partendo dagli 8201 metri del Cho Oyu in Nepal: sopra sono «alti», sotto sono «bassi». Ed è un mondo che cambia perché a quelle altezze cento metri in più o in meno sono un’infinità, sono chilometri, ore, giornate. Sono tutto o niente. Possono essere vita o morte. l Kance è alto e complicato e salire senza ossigeno sarà avventura molto impegnativa. L’ultimo campo base è a 7.300 metri e il giorno del tentativo di vetta si dovranno percorrere quasi 1.500 metri di dislivello rendendo questa salita una delle più difficili dei 14 ottomila nel mondo. Il 2 aprile si parte.

IL SENSO DELLA VITA. Ma stavolta sarà diverso. O forse no: «Non so quante volte mi hanno chiesto che cosa sia un 8.000, cosa rappresenti, cosa significhi per me- racconta Confortola -. È difficile da spiegare. Bisogna essere lì, ai piedi della montagna, sferzati dal vento e dal gelo. Bisogna essere lì quando ti senti solo anche se attorno a te c’è tutto un mondo che si muove. Bisogna essere lì per poterlo capire. È in quel momento che realizzi. È allora che rompi gli indugi e senti che la tua vita si riempie di senso, che sei di nuovo vivo. È un momento di pura spiritualità, o di sola fisicità, non lo so. So che sei lì. E di fronte a te c’è soltanto la montagna, nient’altro. Solo tue e lei. Guardi la cima e pensi: sto arrivando…».