ped«Pedalare in silenzio al buio e nel ghiaccio sono le tre parole che riassumono perfettamente ciò che faccio…Pedalare in silenzio, al buio e nel ghiaccio è il mio ciclismo che mi porta ad avvicinare il limite e a pensare ogni volta di averlo raggiunto. Ma dura poco perchè poi mi fermo, mi lascio affascinare da un’altra suggestione e se Sara, la mia compagna e Fabio, il mio allenatore ma in realtà molto di più,  danno la benedizione  sono già pronto per ripartire. In realtà credo non si possa ma dire di aver raggiunto il limite, mai si può dire di essere arrivati…”. Omar Di Felice, romano 38 anni,  presenta il suo nuovo libro nella libreria Rizzoli in Galleria a Milano e ha gli occhi che brillano. Pedala e si sente vivo, ha trovato la strada, probabilmente fa ciò che ha sempre sognato. E allora cinquanta chiodi su una gomma bastano a farne un ciclista di ghiaccio. Cinquanta chiodi che la dicono lunga su cosa possa fare con una bici. Correre innanzitutto. Ma anche avventurarsi a Capo Nord o in Islanda o addirittura in Alaska dove il termometro va sottozero anche di 35 gradi e dove il ciclismo è tutto un altro racconto. Non è il Tour. Non è il sole di luglio che ti fa aprire le magliette, rovesciare le borracce sul casco, che ti lascia i segni dell’abbronzatura a mezze braccia, a mezze gambe, sul naso dove si fermano gli occhiali. Cinquanta chiodi su una gomma per provare a fare ciò che pochi hanno il coraggio di fare e che Omar  grafico, designer, ciclista professionista per qualche stagione ed ora ultracycler fa per rispondere ai suoi perchè. Un uomo solo al comando. Un uomo solo su una bicicletta nella gelida terra dei ghiacci. Un po’ per sfida, per lavoro ma molto per passione. Moltissimo perchè così probabilmente gli dicono la testa e il cuore: “Il mio ciclismo  più che prestazione è avventura, un modo di essere che mi permette di scoprire luoghi incredibili ma anche te stesso- racconta- Mi permette di capire quali sono le miei possibilità e i miei limiti…». E allora un anno da corridore professionista basta e avanza, perchè quello è un «mestiere» che a un filosofo delle due ruote va stretto: «Da adolescente i miei allenatori mi portavano in circuito ad allenarmi- ricorda- ma io innamorato di Pantani sognavo le salite, sognavo il Pordoi e obbligavo i miei genitori a portarmi in vacanza lassù…». Così la strada diventa un’altra, diventa quella che lo porta a viaggiare da solo per chilometri, giorni e notti. «La prima volta che mi ritrovai a passare da solo una notte in bici ero sui Pirenei- spiega- Fu uno shock, appoggiai la bici ad un’auto posteggiata e chiesi di riportarmi a casa…». Poi però molto è cambiato. Tutto è cambiato. Non la fatica, quella è imprescindibile, ma anche premio, anche il modo per godersi e apprezzare le conquiste “che una volta pensavo fossero possibili per il 70 per cento grazie alle mie gambe e al 30 per cento grazie alla mia testa e invece ora ho capito che è tutto il contrario…”. Anche se poi alla fine i conti li fai sempre con te stesso. L’impresa estrema, sempre più frequente, sempre più di moda, sempre più una necessità ” che molti sentono perchè siamo bombardati dalla tecnologia- spiega Omar- perchè abbiamo tutto, spesso anche il superfluo…Invece quando sei solo e ti ritrovi a fare i conti con freddo e fatica capisci veramente di cosa puoi avere bisogno. Mangi davvero sei hai fame e bevi davvero se hai sete…». Poi si tirano le somme e si riparte. La prossima sfida è la Transamerica, 7mila chilometri attraversando dieci Stati americani: «La sfida è sempre la stessa- sorride- Anzi no. Non ci sarà il ghiaccio ma un gran caldo…In Kansas mi aspettano 50 gradi…».