Dorso, stile e delfino: tre vittorie, tre record del mondo. Record su record che Simone Barlaam, 20 enne milanese un po’ giramondo, ha messo in fila in tre giorni nella 57esima edizione del trofeo Sette Colli Frecciarossa dove il nuoto paralimpico è protagonista insieme a quello «normale» di Paltrinieri e compagni. Già, «normale», perchè qui da noi fa ancora differenza, nonostante Simone, nonostante Bebe Vio nonostante Alex Zanardi a cui vanno tutti gli in bocca al lupo del mondo «Sì, purtroppo è così- spiega Barlaam- Anche se poi lo sport è uno solo, stessa fatica, stessi sacrifici, stesse rinunce e stesse gioie. Ma, al contrario di ciò che accade altri Paesi dove ho vissuto come l’Australia e l’Inghilterra lo sport paralimpico resta ancora al margine».
Il 20enne milanese della Polha Varese, plurimedagliato già campione mondiale ed europeo nella categoria S9 ha migliorato se stesso nei 50 dorso in 27 secondi e 81 centesimi e due giorni fa mercoledì aveva abbattuto lo storico muro dei 54 secondi nei 100 stile libero in 53“56’. Poi ha nuotato i 50 farfalla in 26“59’ strappando il primato mondiale all’ungherese Tamas Sors. Ma non è un solo un fatto di numeri. Simone Barlaam sta diventando il volto nuovo di uno sport che spiega, meglio di tante altre chiaccchiere, quanto la vera disabilità sia solo negli occhi di chi guarda, di chi non comprende che dalle diversità si può solo imparare. E crescere. «Per me l’acqua è amica- racconta- Non la combatto perchè non sa se tu hai due braccia e due gambe, se sei diverso, se hai una gamba sola. Per questo credo che continuare a differenziare lo sport tra “normale“ e “paralimpico“ sia ormai fuoritempo. Lo sport è fatto da persone e ovviamente da . atleti questo è ciò che conta E l’acqua l’unico posto dove la disabilità non esiste. Ma non è così ovunque purtroppo, perchè poi nella vita di tutti giorni le difficoltà restano enormi».
Ma anche grazie alle imprese degli azzurri del nuoto ormai la disabilità nello sport non è più tabù. Fino a qualche lustro fa gli sport Paralimpici in Italia non erano neppure conosciuti, non si sapeva neppure della loro esistenza. Oggi sono un movimento in crescita e, con le Paralimpiadi di Londra del 2012 e quelle di Rio de Janeiro del 2016, sono entrati nei notiziari sportivi e nelle case. Quest’anno era l’anno di Tokyio: «Giusto rinviare le olimpiadi- spiega Barlaam- C’è un problema di salute pubblica che viene prima e non avrebbe avuto nessun senso gareggiare con il rischio di diffondere i contagi. C’è una emergenza e il mondo deve giustamente resettarsi sulle priorità. Per me lo slittamento di un anno complica ovviamente un po’ le cose ma a 20 anni il rinvio di un anno non è un problema. I Giochi comunque restano il mio obbiettivo principale».
Obbiettivo che ovviamente ha un prezzo, fatto di fatica, di levatacce all’alba per allenarsi nella vasche della Saini o della Mecenate, di rinunce a qualche uscita con gli amici: «Sì è vero- spiega- Gli allenamenti, le gare, i viaggi vanno incastrati con il mio studio e con gli esami del primo anno di ingegneria meccanica al Politecnico. Non è una passeggiata e lo so. Ma è la vita che ho scelto e quindi non mi pesa. Ho un solo rammarico: ho studiato un anno in Australia e lì gli atleti, senza distinzioni, per le scuole sono un vanto quindi vengono anche un po’ aiutati. Da noi invece non succede…».